I – arsENIco in TXT

In questa pagina potete leggere il testo completo del libro “arsENIco” scritto da Roberto Barocci; edito nella collana Millelire – Stampa Alternativa

 

Chi governa?

Chi governa nel nostro paese? Nella Regione Toscana, nella provincia di Grosseto, nei Comuni della Maremma? Dove vengono prese le decisioni importanti che riguardano le risorse strategiche, dalla salute alle risorse idriche, al lavoro, alla qualità dell’ambiente…? Si decide davvero nelle Commissioni istituzionali, da quelle parlamentari a quelle comunali, oppure le decisioni importanti vengono prese da altri, in altre stanze? Chi sono i mercificatori che si piegano a interessi di pochi e riescono ad imporre queste scelte anche agli onesti? Come può avvenire tutto ciò? Questi amministratori pubblici un po’ distratti sono davvero onesti, oppure, consapevoli del loro ruolo di comparse, preferiscono sorvolare in cambio di qualche piccolo privilegio di carriera politica o di qualche concessione alla propria vanità?

Queste domande ci ronzano in capo da troppi anni e ritornano prepotentemente, sentendo questi uomini politici parlare di scelte fatte per garantire lo sviluppo sostenibile, l’ambiente…

Coloro che decidono per noi fuori dai luoghi istituzionali, nascostamente lo fanno senza dare pubblicità ai loro legami con il potere economico, e noi ce ne accorgiamo solo dopo anni, spesso quando è ormai tardi.

Forse anche per questa vicenda è andata così…

Ci ponemmo queste domande qualche anno fa, scontrandoci con gli amministratori degli enti locali, dopo esserci messi a disposizione di un Comitato spontaneo di minatori, che, dopo una indagine durata anni, ci ha portato a scoprire gravi fenomeni di un inquinamento che sta avvelenando le falde idriche di un vasto territorio povero di acque potabili.

Era l’aprile del 1996 e alla Segreteria provinciale del partito a Grosseto giunse l’appello sottoscritto da oltre seicento abitanti dei paesi che gravitavano intorno all’ultima miniera, aperta della nostra provincia: quella di Campiano in comune di Montieri, ad oltre un ora di macchina da Grosseto. A sottoscriverlo era stato tutto il popolo di Boccheggiano. Scorrendo quell’elenco di firme dal tratto incerto, si deduceva l’esistenza di una rete di solidarietà popolare, di classe, estesa tra tutti i paesi nati con le miniere: Niccioleta, Gabellino, Prata, Chiusdino, Massa… L’appello era anche il sussulto di un antico orgoglio, che sollecitava le forze politiche a non abbandonare un territorio con la sua gente e la sua storia, ad agire per evitare l’allagamento e la chiusura dell’ultima miniera: la più grande e, tecnologicamente, la più avanzata d’Europa, quella di Campiano. Chiedevano che fosse mantenuta aperta, come presidio e memoria culturale di generazioni di minatori e orgoglio dell’ingegneria mineraria. Collegavano questa richiesta a quella di lavoro nelle bonifiche delle aree inquinate dalle attività minerarie. Non avevamo avuto notizia di quella bella iniziativa: una volta tanto non c’era il solito lavoro politico di cercare di unire occupazione, ambiente e cultura. Era tutto lì, in quell’appello del Comitato.

Nell’aprile del ‘96 l’Eni aveva ormai portato a termine i suoi programmi di chiusura di quasi tutte le miniere che da anni avevano alimentato con la pirite l’impianto di acido solforico sulla costa al Casone di Scarlino.

In questo impianto chimico, costruito dalla Montecatini sugli ultimi residui di un padule demaniale costiero, si produce tuttora la quasi totalità di acido solforico fabbricato in Italia. La Montecatini fusa con l’Eni alla fine degli anni ’80 aveva trovato una conveniente sinergia, iniziando a produrre l’acido solforico, anziché.. dalla pirite, dallo zolfo derivato dalla raffinazione dei greggi petroliferi e aveva così iniziato l’abbandono delle miniere.

Migliaia di minatori erano stati messi in mobilità, in un territorio di alta collina e montagna, dove il lavoro in miniera era l’unico esistente; quelli più anziani erano stati prepensionati e oltre seicento, tra i più giovani, erano stati distribuiti nelle varie aziende lungo la costa, fino a Piombino. Il Governo aveva finanziato le aziende che inserivano in produzione gli ex minatori con una prima legislazione speciale del’89 e con una cinquantina di miliardi a fondo perduto, in più riprese, nel corso dei primi anni ’90.

Quei contributi avevano attirato però anche piccoli imprenditori per lo più sconosciuti, forse prestanomi, interessati più ai finanziamenti statali che a una seria attività produttiva, che hanno lasciato da lì a pochi mesi, di nuovo senza lavoro e senza assistenza pubblica, decine di ex-minatori. Era il caso in quei mesi della Teleservice e della Geodaltec, aziende fantasma.

Il sindacato confederale, avendo garantito tra i lavoratori il controllo del processo di riconversione, si trovava in difficoltà non riuscendo ad ottenere il rispetto degli impegni dell’Eni nell’assicurare continuità di lavoro nelle nuove aziende.

Forte era il malcontento e quando giunse la notizia della chiusura definitiva degli accessi alla miniera di Campiano, in poche ore si costituì il Comitato “autonomo” in polemica con lo stesso sindacato confederale.

A noi, stimolati da un recente consenso elettorale del 18% in provincia, stando all’opposizione di una maggioranza di centrosinistra che non aveva voluto confrontarsi con i nostri contenuti, sembrò naturale mettersi a disposizione del Comitato, che aveva unito lavoro, cultura e ambiente così efficacemente.

Iniziò così questa storia che vogliamo rendere pubblica oltre i confini della regione, cercando di superare quel muro di omertà che è stato costruito a difesa degli interessi dell’Eni, mettendo a disposizione di chiunque tutta la documentazione richiamata nelle note ed elencata in appendice.

Il Comitato di Boccheggiano

L’appello del Comitato di Boccheggiano fece rumore nei palazzi della politica di Grosseto, perché… svelava una realtà operaia che dai più era data per rassegnata o sconfitta. All’appello seguirono un paio di assemblee, dove ai minatori non sfuggiva una sola parola dei vari rappresentanti delle forze politiche. Probabilmente tanti uomini politici insieme, davanti a una miniera, non si erano visti dal dopoguerra, dai tempi delle cerimonie di commemorazione delle lotte partigiane. Tutti volevano capire bene e scolpire nella memoria le parole usate dagli uomini della politica per definire il proprio impegno, specie da quelli della sinistra che da pochi mesi faceva parte del governo e il cui Ministro del Tesoro era l’azionista di maggioranza dell’Eni.

Seguì in una domenica di maggio, sotto la pioggia, la grande manifestazione di un popolo intero, dai vecchi ai bambini, che per sfilare dovette dispiegarsi lungo la strada statale, l’unica grande via pubblica. La loro forza compatta produsse subito i primi risultati.

Il lavoro per gli ex minatori arrivò dopo pochi mesi, all’interno di una nuova piccola azienda di componenti auto, catapultata a Montieri dall’area dell’indotto Fiat piemontese.

Nel frattempo, dopo aver attivato il gruppo parlamentare a Roma, ci eravamo dedicati al problema della bonifica dei siti minerari, il cui controllo spettava a Regione, Provincia e Comuni.

Iniziammo dalla miniera di Campiano per cercare di salvarla dalla chiusura definitiva, che voleva dire allagamento e costruzione di potenti sbarramenti di cemento armato, necessari, secondo il Distretto Minerario di Grosseto, per sigillare gli accessi alle varie camere, gallerie e ingresso ed eliminare i rischi di crolli e franamenti in superficie. Così si perdeva un patrimonio da salvare, come parte di un parco minerario, la cui realizzazione spettava agli Enti locali. Per realizzarlo l’Eni doveva prima realizzare la bonifica.

Il Governo rispondendo in X Commissione il 26 giugno ’96 a una nostra interrogazione parlamentare disse che: “…sono state fornite agli amministratori locali tutte le informazioni e le chiarificazioni necessarie per ciò che concerne la corretta presentazione delle domande intese ad ottenere contributi di cui alla legge n¡ 204/93 per il recupero ambientale dei compendi immobiliari ex minerari e, quindi nel caso specifico, per la realizzazione degli auspicati parchi e/o musei minerari. Le domande in atto presentate sono infatti prive di progetti cantierabili…”. La risposta continuava dicendo che c’erano venti miliardi disponibili in bilancio, i quali potevano essere assegnati nello stesso ’96 anche alle aree del grossetano. “Ma a tal riguardo- continuava il Ministro del centrosinistra, si deve far presente che le domande di contributo finora presentate, da parte degli enti locali interessati, ivi compresi quelli del grossetano, si configurano come mere dichiarazioni di intenti …del tutto insufficienti per la concessione di contributi massicciamente richiesti.”(1) Apprendemmo così che il personale politico locale del centrosinistra, che da anni sosteneva a parole la necessità di realizzare il parco minerario, si era “distratto” e che le polemiche contro il Distretto Minerario di Grosseto per i presunti ritardi burocratici nella messa in sicurezza delle miniere (2), erano in realtà solo giustificazioni usate davanti ai cittadini.

L’Eni, che aveva messo in quei mesi in liquidazione la sua società mineraria, la Campiano spa, voleva lasciare il più presto possibile le concessioni senza sopportare i costi per le bonifiche e, dall’Amiata al Mancianese, stava usando il suo patrimonio di superficie, costituito per lo più da terreni e poderi abbandonati di alta collina, come mezzo di scambio (3).

L’ intento dell’Eni era incompatibile con la realizzazione di un parco minerario, perchéé… un recupero sociale delle miniere significava realizzare le bonifiche dei siti inquinati, perlopiù collocati in luoghi adiacenti agli immobili e alle gallerie. Il Comitato di Boccheggiano, che aveva sollevato il problema delle bonifiche, non era stato previsto da chi aveva progettato un altro scenario.

In realtà, quando nei primi mesi del ’96 fu sollevato pubblicamente dal Comitato di minatori il problema del ritardo sulle bonifiche, presentando agli Uffici tecnici la planimetria, con l’indicazione dei siti da bonificare, ben altri progetti erano in preparazione per i beni immobiliari della Campiano Mineraria e della Snam. Si trattava di case coloniche, terreni, abitazioni e anche uffici nel centro di Massa, stimati dalla Regione Toscana in 5,182 miliardi. La Regione aveva accolto anche la stima dell’Eni, per costi delle bonifiche, di 5,681 miliardi. Sappiamo che funzionari della Regione Toscana (4) valutavano positivamente fin dal luglio ‘95 una proposta avanzata dall’Ing. Mansi della Nuova Solmine spa (Eni), per uno scambio quasi alla pari tra Eni e Enti pubblici: il patrimonio immobiliare Eni passava alla collettività, la quale, in cambio, si sarebbe accollata il costo delle bonifiche, valutate all’incirca come il patrimonio immobiliare, circa 5 miliardi. Dopo pochi mesi il progetto rielaborato diviene più ardito e sfacciato.

La Comunità Montana delle Colline Metallifere proponeva una società mista Eni-Enti locali. La quota societaria degli Enti locali sarebbe stata pari alla entità dei finanziamenti pubblici ottenibili per la ricollocazione degli ex minatori, per il recupero delle miniere e per il risanamento di proprietà pubbliche inquinate, mentre la quota societaria dell’Eni sarebbe stata pari al suo patrimonio immobiliare, che una volta ristrutturato, sarebbe stato collocato sul mercato, attivo per la forte domanda di residenze turistiche rurali. Gli utili sarebbero stati divisi in proporzione alle quote sociali (5).

Questo affare avrebbe consentito all’Eni di evitare i costi delle bonifiche, da realizzare invece con i fondi pubblici, di ristrutturare le case coloniche, sempre con denaro pubblico concesso per la riconversione mineraria, di utilizzare il lavoro degli ex minatori, ricollocati come muratori a spese dello Stato con corsi di formazione-lavoro, di ottenere le agevolazioni degli enti pubblici locali per i cambi di destinazione d’uso e la deruralizzazione dei volumi agricoli e, infine, di rivendere tutto al termine della valorizzazione del patrimonio immobiliare, con buona pace per gli ex minatori, che si sarebbero dovuti riciclare dopo pochi anni, terminati i lavori edili, alla ricerca di altre occupazioni. L’Eni avrebbe intascato parte delle decine di miliardi provenienti dalla vendita del patrimonio immobiliare e alla collettività sarebbero rimasti, come eredità, alcuni immobili, con un costo di “riconversione” del settore minerario di decine di miliardi e con un costo di bonifica dei siti inquinati, superiore di almeno dieci volte a quello stimato dalla Regione toscana.

Oggi per le bonifiche dei siti minerari delle Colline Metallifere si parla almeno di cento miliardi a carico dell’Eni, stima che riteniamo approssimata per difetto, non esistendo ancora i progetti esecutivi. Questo affare, assieme ad altri realizzati nei comuni di Santa Fiora, Scarlino e Manciano, è una testimonianza della applicazione delle strategie industriali dal vertice ENI, oggi in via di privatizzazione.

Le strategie industriali dell’Eni

Dal quotidiano Liberazione del 18/4/98: “Un documento Eni ha ispirato il giudice Casson – Come rendere accettabile l’inquinamento ambientale -“

Scriveva l’amministratore delegato dell’Eni-chem il 19/1/95 ai dirigenti degli stabilimenti sparsi in Italia: “Con il 1995 è intenzione della nostra Società realizzare un programma di comunicazione che ci renda maggiormente visibili, soprattutto nella realtà in cui siamo presenti con le nostre strutture produttive”. Il programma prevedeva interventi in vari settori, dalle scuole alle istituzioni, dai giornali alla magistratura, con particolare riguardo agli amministratori. La campagna pubblicitaria messa in opera, dal costo annuo di circa un miliardo, aveva l’obiettivo di correggere “… l’atteggiamento emotivo e preoccupato dell’opinione pubblica verso i grandi insediamenti industriali ed in particolare per quelli chimici, accentuatosi per il pesante costo occupazionale delle ristrutturazioni, ed alcuni elementi di rischio di impatto ambientale, che possono influire sugli orientamenti degli amministratori e sulle conseguenti decisioni… Dopo un’attenta selezione degli interlocutori, della loro identità politica e istituzionale e della loro attitudine e dei loro bisogni si può impostare una strategia di comunicazione che in tal senso, per essere efficace, dovrà essere sufficientemente interattiva.”

Ma l’affare della società mista è stato solo accantonato. Le nostre iniziative hanno fatto emergere un grande problema di inquinamento ambientale e la necessità delle bonifiche nei Comuni delle Colline Metallifere con una lievitazione dei costi, volutamente sottostimati negli anni passati. Nonostante sia operante in Toscana una legge dal ’93, a tutt’oggi gli amministratori pubblici addossano le responsabilità delle mancate bonifiche alla difficile interpretazione della legislazione, come ha dichiarato il vice sindaco Martini di Massa Marittima al convegno pubblico sullo Stato dell’Ambiente, svoltosi il 14 febbraio 2000 a Grosseto. In quell’occasione è stato riproposto anche il progetto di ricostituire la società mista Eni-Enti locali per le bonifiche…

Le discariche abusive

Il Comitato di minatori di Boccheggiano denunciò nella primavera del ’96 anche l’avvenuto stoccaggio nella miniera di Campiano di rifiuti nocivi e di ceneri dell’impianto di arrostimento delle piriti di Scarlino.

L’intento era quello di impedire la chiusura della miniera. Questa avrebbe significato anche l’interruzione del drenaggio delle acque di falda, fino allora scaricate all’esterno della miniera, il suo conseguente allagamento e il contatto delle acque con i rifiuti depositati al suo interno. La necessità di evitare l’inquinamento delle falde era anch’essa una buona ragione per non chiudere.

La miniera era una ferita profonda nel territorio che necessitava di cure costanti; in quella di Campiano una strada camionabile scendeva per diversi chilometri, intercettava gallerie che avevano interrotto diverse falde, alcune con una discreta portata, le cui acque venivano fino allora imbrigliate senza che lambissero i rifiuti stoccati in miniera.

Se l’allagamento comportava l’inquinamento di acque di falda e l’inevitabile inquinamento delle acque di superficie che, riempita la miniera, sarebbero fuoruscite, bisognava realizzare opere di bonifica e tenere aperta la miniera.

Ricostruimmo il percorso amministrativo usato per ottenere le autorizzazioni al trasferimento di quei rifiuti e venimmo a conoscenza che le ceneri erano state classificate come rifiuti pericolosi per il loro alto contenuto di arsenico, piombo, cadmio…Ciò nonostante, se fossero state stoccate ben isolate dalla superficie, non sarebbero divenute nocive, perché… dalle analisi, allegate agli atti, risultava che a contatto con l’acqua non avrebbero ceduto i metalli in quantità tossica e nociva (6).

Sapevamo già che queste ceneri erano state usate come materiale di copertura delle discariche presenti lungo la costa e poi ricoperte con terra e proprio per la loro sistemazione nelle adiacenze di un padule acquitrinoso, non credevamo possibile che fossero capaci di mandare in soluzione sostanze tossiche.

Lo stesso affermava il Distretto Minerario di Grosseto, che aveva autorizzato lo stoccaggio in miniera delle ceneri, citando analisi fornite dall’Eni (7) e realizzate dall’Università di Pisa, e lo stesso aveva dichiarato l’Assessore Regionale all’Ambiente il Verde Del Lungo, che rispondendo a una interrogazione in Consiglio, aveva rammentato l’avvenuto riconoscimento di tali ceneri come materiale riutilizzabile (8).

Eppure il Comitato insisteva e in effetti qualcosa non tornava.

I camionisti, aderenti al Comitato che avevano lavorato per l’Eni nel caricare e scaricare i rifiuti, assicuravano che avevano trasportato materiale pericoloso, specialmente alcuni fanghi, che corrodevano il pianale dei loro camion; tant’è che, finita la giornata, i capi-cantiere facevano lavare loro accuratamente il cassone del camion. C’era evidentemente dell’altro che ci sfuggiva e così decidemmo di studiare più accuratamente tutta la documentazione tecnica disponibile nei vari uffici di Grosseto. Era quello che ci richiedeva il Comitato, che contemporaneamente aveva recuperato del materiale stoccato in miniera e lo aveva fatto analizzare, con discrezione, in un laboratorio privato a Grosseto: quelle ceneri risultavano capaci di avvelenare le acque con metalli tossici. Chiedemmo a Comuni, Provincia e Regione che fossero ripetute le analisi. Risposero che le ceneri erano state già analizzate e valutate (9).

Per tutto il ’96 e inizio’ 97 ricercammo la documentazione tecnica, acquisendo centinaia di documenti. Nel nostro paese chi ha la responsabilità delle decisioni ha prodotto un sistema per cui gran parte della responsabilità viene trasferita ai tanti soggetti tecnici investiti di differenti pareri obbligatori. Questi pareri vengono formulati in modo che non siano mai vincolanti ed esaustivi, poiché… la burocrazia scarica le responsabilità con relazioni tecniche evasive. Nel nostro caso, in alcune autorizzazioni ci sono anche delle “concentrazioni limite” da osservare, dei numeri che sono più difficili da sfumare e questo ci ha aiutato a capire.

Nel frattempo il Comitato di Boccheggiano, che aveva ottenuto dopo qualche mese i posti di lavoro, mostrava scarsa partecipazione per le iniziative sulle bonifiche ambientali, riponendo le aspettative sulla Magistratura, che a fine ’96 aveva avviato un’indagine sulle loro segnalazioni (10). Quel Comitato si sciolse sul convincimento generale che quella delle bonifiche dell’Eni fosse “una battaglia contro i mulini a vento”. Così ci disse Claudio Maddalon che del Comitato era stato uno degli organizzatori.

Con mozioni ed interrogazioni nei vari consigli comunali, provinciale e regionale cercammo di far applicare dagli amministratori locali la legislazione sulle bonifiche, che i sindaci e la Giunta provinciale non intendevano di dover attivare (11). Mentre gli amministratori provinciali lamentavano ritardi di altri enti, la Regione scriveva il 3 settembre ’96 che: “… allo stato attuale non sono pervenute al Servizio richieste puntuali e formali, da parte della stessa Provincia, di inserimento di ulteriori aree minerarie dismesse, nel Piano Bonifiche”(12). Su queste omissioni abbiamo raccolto un documentazione inoppugnabile che rendemmo pubblica, scatenando molte polemiche.

Sulle omissioni e ritardi delle pubbliche amministrazioni

Intervento letto dalla Segretaria del Circolo di Massa del PRC Lara Turini e depositato agli atti del Consiglio Comunale straordinario del 18/4/98, svoltosi a Niccioleta (Massa Marittima), dove si precisano tutte le inadempienze a favore dell’Eni fatte registrare a quella data dal Comune di Massa e dalla Provincia di Grosseto:

“… Questo intervento vuole essere una esposizione oggettiva di fatti che riteniamo si commentino da soli, pertanto procederò per punti.

1-La legislazione italiana, precedente al Decr. Lgl. 22/97, tratta il tema delle bonifiche dei siti inquinati con la Legge 441/87, dove all’art.5 demanda alle Regioni il compito di realizzare i piani di bonifica, assegnando anche finanziamenti pubblici. A questa segue l’art.9 della Legge 475/88.Constatata una eccessiva difformità tra le normative adottate dalle varie Regioni, il Ministero dell’Ambiente emana un Decreto Ministeriale il 16/5/89, stanziando 11 miliardi per le bonifiche di competenza degli enti pubblici (discariche di proprietà dei Comuni…).

La Regione Toscana, dopo un lungo lavoro di indagine sul territorio, lavoro che ha visto la partecipazione dei Comuni (in data 9/10/91 è stata loro inviata la scheda con cui i Comuni dovevano segnalare i siti inquinati), delle Province (alle quali in data 23/12/91 sono state inviate per una verifica le schede elaborate dai Comuni) e delle competenti USL ( che per tutto il ‘92 conducono indagini sui siti indicati), presenta infine il Censimento delle aree inquinate e, in data 20 aprile 1993 con Deliberazione di Consiglio Regionale n167, approva il Piano di bonifica, con l’elenco dei siti da bonificare, con le metodologie di indagine e di analisi, con i livelli di inquinamento sopportabile in funzione della destinazione dei siti, con le priorità da seguire…Successivamente la Regione Toscana vara la legge n29/93,che consente di aggiornare periodicamente con delibera di Giunta il piano di bonifica “…anche su segnalazione degli enti territoriali, ovvero di altri soggetti aventi titolo…”( leggi: Comune , Comunità Montana, Arpat, Provincia…) come cita l’art.2 della L.R. 29/93.

Nonostante che il D.M. del 16/5/89,sopra rammentato, prevedesse al primo punto (ripetiamo al primo punto) delle aree da indagare e segnalare per le operazioni di censimento proprio quelle “interessate da attività mineraria in corso o dismesse” e che indicasse come i siti a maggiore rischio di inquinamento fossero quelli interessati dalle attività produttive di “estrazione e preparazione minerali metalliferi” e di “industrie chimiche” e nonostante che si desse la massima priorità (ripetiamo la massima priorità) proprio alle “aree minerarie con accertata contaminazione o con presenza di rifiuti potenzialmente tossici e nocivi”, il Comune e la Provincia di Grosseto provvedono all’inserimento di soli due siti nel comune di Massa Marittima: la miniera di Ritorto (abbandonata da decenni) e la discarica La Camilletta, dimenticandosi di tutte le altre discariche minerarie….

2-Le successive segnalazioni di altri Uffici Pubblici al Comune di Massa Marittima e alla Provincia di Grosseto sono diverse. Di seguito citeremo quelle fatte negli anni successivi alla fase iniziale 1991-92, già visti nel punto precedente…:

A)Il Distretto Minerario di Grosseto in data 21/11/95 con lettere prot.n 1904-1910 comunicava che nell’ambito territoriale dei comuni di Massa Marittima, Gavorrano, Montieri e Manciano ” sono collocati più di 17 bacini di decantazione fanghi già connessi alle attività estrattive, per i quali andranno opportunamente individuati gli eventuali rischi e prescritte alle società ancora esercenti necessari interventi” .La lettera inviata ” per gli eventuali provvedimenti di competenza che gli Enti in indirizzo ritenessero di dover adottare” non ha prodotto effetti.

B)La Regione Toscana, con lettera nVI A/629/765 del Dipartimento Ambiente inviata il 12/1/96 sia al Comune di Massa Marittima che alla Provincia di Grosseto, sollecitava gli Enti locali a segnalare la presenza di siti potenzialmente inquinati “… per l’eventuale inserimento o integrazione nel piano regionale Bonifiche delle aree attualmente non inserite ove si riscontrino situazioni di inquinamento o compromissione ambientale.”

C)l’Arpat di Grosseto (che è l’organo pubblico tecnico abilitato a certificare gli inquinamenti e che ha affiancato le USL) con lettere in data 20/6/96 e 21/6/96, a seguito di un esposto presentato da una società privata che organizzava percorsi di trekking nel comune di Massa Marittima e che aveva denunciato la presenza di inquinamenti evidenti nei fossi Zanca e dei Noni, comunicava al sindaco di Massa Marittima ,dopo aver riportato dati allarmanti di inquinamento da metalli pesanti nei suddetti fossi, che: “Il fosso dei Noni, affluente del fiume Bruna attraversa nella zona di Fenice Capanne l’omonima area mineraria e …entra in contatto con materiale proveniente dalla dismessa attività mineraria…”, mentre per indicare le cause dell’inquinamento dello Zanca si comunica che :”La zona mineraria di Niccioleta è risultata area che presenta non pochi punti di rischio ambientale per la presenza di depositi di materiali di origine mineraria, di discariche di sterile (trattasi in realtà di materiale definito sterile ma non inerte) e di bacini di decantazione fanghi, nonchè di impianti dismessi che continuano ad impattare con l’ambiente, acqua e suolo in particolare”.

3-Le iniziative di Rifondazione Comunista di sollecitazione, di proposizione e di denuncia si inseriscono nel quadro sopra delineato…”

Poiché… ancora oggi nessuna bonifica è stata realizzata, va segnalato che recentemente, il 14/1/2000, il vice Sindaco di Massa ha dichiarato, in una pubblica Assemblea, che il tempo intercorso dal varo della legge Ronchi (1997) ad oggi ha visto l’Amministrazione comunale di Massa Marittima impegnata nell’interpretazione della normativa…Ma, concludeva il suo intervento, nel 1998, la Segretaria del Circolo di Prc di Massa:

” … Le giustificazioni del Sindaco Sani e dell’Ass.re provinciale alle bonifiche Morandi, usate pubblicamente per giustificare i ritardi di anni, ritardi che si misurano obbiettivamente a partire dal primo mancato inserimento dei siti minerari nel Piano regionale di bonifica del ‘93, hanno dell’incredibile e, indipendentemente dalle parole di convenienza che dicono il contrario, vanno obbiettivamente nella direzione di ritardare gli investimenti che l’Eni deve fare nel nostro territorio…L’ultima trovata, in ordine di tempo, del sindaco Sani è quella fatta pubblicamente al recente convegno organizzato dalla CGIL a Grosseto presso l’hotel Lorena il 6 marzo scorso, quando ha replicato, davanti a tanti testimoni, che i ritardi nelle bonifiche sono da addebitare al Distretto Minerario di Grosseto, al quale, secondo il sindaco di Massa Marittima, competerebbero gli obblighi relativi alla realizzazione delle bonifiche….Altrettanto significativa di un atteggiamento che di fatto ritarda gli interventi di bonifica è la giustificazione data dall’Ass.re Morandi a nome della Giunta provinciale di Grosseto, in Consiglio Provinciale il 26 marzo scorso, quando ha sostenuto che l’art. 17 del recente Decreto Ronchi (22/97), che fissa i tempi di attivazione dei privati, obbligati alle bonifiche e le competenze dei sindaci che debbono diffidare i privati inadempienti e controllare che siano compiuti gli interventi urgenti, non sono applicabili…”

Le motivazioni dei ritardi usate da questi amministratori sono le stesse nel tempo: c’è sempre una legge nuova non applicabile.

Perché… gli amministratori locali resistevano a utilizzare la legge per le bonifiche con motivazioni insensate e provocatorie? Le bonifiche significavano il recupero di una risorsa, l’acqua, indispensabile per lo sviluppo della Maremma. Significavano lavoro! La Giunta provinciale del Presidente Gentili arrivò a sostenere che le analisi chimiche, che potevano certificare l’inquinamento in atto e giustificare l’avvio della legislazione sulle bonifiche, dovevano essere fatte dal soggetto che aveva inquinato e che la pubblica amministrazione non aveva strumenti per imporle (13). Una amministrazione, che in un solo anno deliberò per incarichi a professionisti esterni oltre 3 mila milioni (14), non riuscì a trovare una giustificazione migliore! Stessi argomenti ripetevano in coro i Sindaci. E pensare che un’analisi chimica fatta dagli Uffici pubblici di Igiene e Sanità, poi divenuti Arpat, poteva costare qualche decina di migliaia di lire e che per attivare un’indagine era sufficiente gettare uno sguardo sui siti minerari, nei quali si poteva constatare l’assoluta mancanza di vegetazione pioniera, anche dopo molti anni di abbandono (15). A causa della concentrazione dei minerali di piriti abbandonati in superficie, per effetto di acidità molto elevata che si generava con le piogge, veniva corrosa qualunque struttura metallica anche di diversi centimetri di spessore (16). Tutto ciò ci convinse a fare una mostra fotografica che portammo sulle piazze dei vari comuni.

Cominciammo a capire il motivo dei comportamenti omissivi, solo quando per caso riuscimmo a comprendere il sistema usato dall’Eni per nascondere la reale natura delle ceneri di pirite. Studiando una relazione tecnica dell’Università di Bologna Dipartimento di Ingegneria mineraria, in cui si raccomandava di collocare le ceneri all’interno della miniera di Campiano, a notevole profondità, perché… a quelle quote prevalevano acque leggermente alcaline (17), ci venne in mente di verificare, nelle analisi dell’Eni, il valore dell’acidità. Intuimmo che la diversa pericolosità delle ceneri, segnalata dai test di cessione di elementi tossici in acqua, dipendeva dalla diversa acidità/alcalinità del liquido usato per l’analisi e in cui le ceneri venivano immerse in laboratorio. In ambiente leggermente acido, come è quello che si trova normalmente nella superficie terrestre, le ceneri si dimostravano molto più pericolose (18). E la legislazione prescriveva che i rifiuti lasciati in superficie dovevano essere testati in ambiente leggermente acido.

Successivamente, il prof. Enzo Tiezzi dell’Università di Siena, Direttore del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche e dei Biosistemi, ci certificò la non validità delle analisi dell’Eni prodotte per ottenere dalla Regione Toscana che le ceneri di pirite fossero utilizzate in superficie (19).

Come era stato possibile? Come erano stati fatti i controlli dai vari uffici pubblici? Perché… gli amministratori locali avevano finto di non sapere?

Iniziammo una verifica su più aree della provincia e ci accorgemmo presto che il caso di Campiano non era affatto isolato. Ipotizzammo che la chiusura di pozzi di acqua potabile per inquinamento da metalli tossici arsenico e mercurio, che si erano registrati negli anni precedenti a Massa Marittima e a Follonica, potevano essere messi in relazione con la presenza su quei territori di molte discariche abusive di rifiuti tossici.

Era la fine del ’96 e le nostre interrogazioni avevano interessato anche la Procura presso il Tribunale di Grosseto e dalla Magistratura arrivò la prima conferma ufficiale che i minatori di Boccheggiano avevano ragione. Il Distretto Minerario di Grosseto scrisse ai vari amministratori comunali, provinciali e regionali il 7 ottobre del 1997 che: “…La Procura della Repubblica di Grosseto ha fatto pervenire le analisi chimiche allegate che riguardano alcuni campioni di ceneri di pirite a suo tempo prelevate presso la società Nuova Solmine di Scarlino, facendo notare che le stesse- segnalate fuori norma per il contenuto in arsenico e per la cessione di elementi quali piombo, rame e cadmio sono da ritenersi tossiche e nocive” (20).

Per la prima volta viene riconosciuto da pubbliche autorità che le ceneri cedono metalli tossici in acqua: i minatori di Boccheggiano avevano ragione, ma fu un’amara e tarda consolazione, perché… la quantità di quelle ceneri era tale da prefigurare un disastro ambientale.

L’arsenico disperso nell’ambiente

A) L’arsenico disperso con le ceneri

Gli impianti di Scarlino di proprietà, prima, della Montedison e, poi, dell’Eni hanno utilizzato i minerali estratti nei comuni delle Colline Metallifere per produrre sia acido solforico, sia pellets (minerale fuso in piccole sfere prive di zolfo) ad alto contenuto di ferro, per l’industria siderurgica.

Dalle miniere si estraevano, negli anni ’70, in media ogni anno 1 milione e 600 mila tonnellate di minerali a prevalenza di solfuro di ferro, la pirite, dando lavoro ad oltre 2.400 minatori. Altri 450 operai erano impiegati negli stabilimenti di trattamento delle piriti. Il peso economico del settore era prevalente nella provincia, che vedeva una immigrazione di manodopera verso i comuni delle miniere e delle industrie chimiche collegate.

Tuttavia le piriti arrivavano agli stabilimenti di Scarlino con un tenore in ferro del 38% e altrettanto di zolfo. Il restante conteneva rame, piombo, arsenico, zinco, mercurio ecc. in quantità variabili, che mai si è tentato di recuperare.Quindi i minerali erano piuttosto eterogenei e, più correttamente, definibili come solfuri misti.

Le piriti miste arrostite nei forni liberavano lo zolfo sotto forma di anidride solforosa, la quale veniva trasformata, per conversione catalitica, in acido solforico; mentre le ceneri ematitiche risultanti dall’arrostimento, ricche di ossido di ferro, subivano un processo di arricchimento e concentrazione, detto di pellettizzazione, portando il ferro a un tenore del 67%.Ciò è avvenuto fino all’83. Rimanevano come scarto di lavorazione le ceneri magnetitiche.

Nonostante la composizione dei minerali negli stabilimenti fosse conosciuta ai dirigenti dell’azienda, come pure conosciute le ceneri in uscita, i residui di lavorazione furono definiti “materiale sterile” (21) e come tali trattati, cedendoli, senza alcuna cautela, per lo più agli agricoltori che li hanno usati come materiale di cava per bonificare le strade poderali.

Dalle analisi dell’ Eni le ceneri magnetitiche di scarto avevano un contenuto in arsenico di 450 gr/ ton ossia 450 ppm (parti per milione) e poiché…, nel periodo di pieno funzionamento degli impianti di pellettizzazione, furono prodotte 187.000 ton/anno di ceneri di scarto, sono state sperse nell’ambiente circostante 0,45 Kg/ton x 187.000 ton/anno=84.150 kg/anno di arsenico. Questo è avvenuto per tutti gli anni ’70.

Non conosciamo il valore medio dell’arsenico nel minerale in entrata, se non per la frazione proveniente dalla miniera di Boccheggiano, di cui si parlerà più sotto, ma sicuramente una frazione consistente di arsenico è stata dispersa anche sotto forma di anidride con le polveri e i fumi di combustione.

Dopo il 1983 la situazione peggiora per due motivi:

a) l’impianto di produzione dei pellets ferrosi viene abbandonato, in quanto le acciaierie lamentavano una presenza eccessiva di piombo e altri metalli pesanti che, a differenza dell’arsenico, non venivano eliminati nel processo di arricchimento. Da quel momento al ’94, fino al termine dell’utilizzo delle piriti per la produzione di acido solforico, tutto il residuo dell’arrostimento delle piriti viene accumulato a piè di fabbrica o, sempre come “inerte”, usato come materiale di copertura di discariche, nei cementifici, nei rilevati stradali ecc.

b) l’esaurimento della miniera di Gavorrano dall’82 fa mancare agli impianti di Scarlino la frazione di pirite più pura e contemporaneamente aumenta lo sfruttamento delle miniere di Boccheggiano, dove prevalgono i solfuri polimetallici.

Dal 1982 al 1994, anno in cui per la produzione di acido solforico si passerà allo zolfo estratto dal petrolio grezzo, lo stabilimento di Scarlino tratta almeno 7,7 milioni di tonnellate di piriti con uno scarto di 550.000 ton /anno di ceneri di arrostimento.

In queste ceneri di pirite la quantità media di arsenico è da 400-420 gr/ ton. ossia 400-420 ppm che equivale a 225.000 Kg/anno di arsenico distribuito nell’ambiente attraverso le ceneri. Questo è avvenuto negli anni ’80 fino al ’94.

B) L’arsenico disperso con i fumi

L’arsenico, presente nei solfuri misti, a temperatura ambiente è inerte, ma, se riscaldato, arde con fiamma azzurra, formando anidride gassosa in presenza di aria a 630¡C. La temperatura dei forni di arrostimento della pirite di Scarlino si aggirava sui 900¡C e, pertanto, dai camini dell’impianto, una parte di anidride arseniosa, altamente velenosa, veniva dispersa nell’ambiente circostante.

I rilevamenti della rete di monitoraggio attorno all’impianto non potevano segnalare la presenza di anidride arseniosa, essendo predisposti solo per misurare l’anidride solforosa.

Sappiamo che la quota prevalente delle piriti trattate negli anni successivi all’83 proveniva dalla miniera di Boccheggiano e sappiamo che in tali solfuri la presenza di arsenico era di 1,09 kg/ ton di minerale, ossia 1.090 ppm (parti per milione), mentre, nelle ceneri, l’arsenico registrato è di 400-420 ppm.

Poiché… l’acido solforico ( prodotto in uscita dall’impianto), era praticamente privo di arsenico (l’azienda trasmette alla Magistratura una concentrazione di As nell’acido solforico in uscita di 0,5 ppm), se ne deduce che la differenza, cioè 670 ppm di arsenico, veniva disperso con i fumi dalle ciminiere.

Dalla miniera di Boccheggiano sono pervenuti in quegli anni agli impianti di Scarlino circa 5,5 milioni di tonnellate di minerali, pertanto l’arsenico disperso durante il ciclo produttivo dell’acido solforico, riferibile alla quota proveniente da Boccheggiano, nei tredici anni dal 1982 al 1994, potrebbe aver raggiunto la quantità di 3.680 tonnellate, corrispondenti a 283.000 Kg/anno.

L’arsenico, oltre che altamente tossico, è un sicuro cancerogeno per l’uomo: “L’esposizione cronica all’arsenico è associata anche ad un elevato rischio di cancro alla pelle e alla possibilità di cancro al polmone, fegato, vescica, rene e colon”(McGraw-Hill 1998). In: “Evidence for carcinogenicity to Humans” la rivista Iarc 1998 riporta casi di cancro registrati per esposizione a pochi g/giorno di arsenico.

Un disastro ambientale

I dati della dispersione sul territorio dell’arsenico e del mercurio sono la premessa per un disastro ambientale, che minerà la salute dei cittadini (22), depaupererà le scarse risorse idriche che già vengono negate agli agricoltori e costringerà l’industria a sopportare costi crescenti per il consumo dell’acqua, fino a quando le multinazionali non troveranno conveniente trasferire le produzioni dove non esistono regole.

Parlare di disastro ambientale in una provincia che non è ancora uscita dalla crisi economica provocata dall’abbandono delle attività minerarie e che si sta avviando a fatica, ma con interessanti prospettive, verso uno sviluppo del turismo, dell’agriturismo e delle produzioni agricole e artigianali di qualità (in un contesto di rara bellezza del paesaggio e di notevoli risorse ambientali), è angosciante, ma riteniamo che i processi di inquinamento delle falde acquifere, che scorrono sotto i terreni costituiti da recenti sedimenti alluvionali, sono lenti e inesorabili e il tempo non può che peggiorare la situazione. La velocità di percolazione delle acque nei terreni è variabile, a seconda della prevalenza di sabbia, limo o argilla, ma la sua discesa è certa e il movimento orizzontale inarrestabile.

Abbiamo informato i rappresentanti dei Consigli di fabbrica e i dirigenti provinciali delle associazione degli agricoltori, ma senza risultati.

Abbiamo cercato di parlare prima con gli amministratori locali e con i responsabili regionali, con il Verde Del Lungo, Assessore all’Ambiente, poi con i responsabili della struttura tecnica regionale dell’ARPAT di protezione ambientale, il dott. Lippi e il dott. Agati, ma le risposte per le mancate bonifiche sull’arsenico sono state deludenti, obiettivamente più funzionali agli interessi Eni, che agli interessi della popolazione. Solo la Giunta in carica nel ’98 a Manciano, da noi informata di un progetto truffaldino messo in atto sulle bonifiche del Tafone, ha saputo contrastare gli interessi Eni, evitando di accollare alla collettività una spesa di 3,7 miliardi.

Quando a fine ’97 e nei primi mesi del’98 fu chiara l’entità del disastro ambientale, ritornammo a chiedere uno studio analitico sul territorio. L’Assessore provinciale all’Ambiente, Morandi, ci rispose nell’ottobre del ’97, dopo le segnalazioni ricevute dalla Magistratura, che non c’erano problemi, che “…Il contenuto delle ceneri è da tempo noto” e che la Regione Toscana le aveva testate e valutate (38). Lo stesso dissero i dirigenti dell’Arpat e la sig.ra Meozzi, il Sindaco di Scarlino (39), sul cui territorio sono stoccate diverse milioni di tonnellate di ceneri a contatto con l’acqua. Tutti sapevano da anni la reale natura e, ciò nonostante, non si era intervenuto per ridurre i danni. Anzi il Sindaco di Scarlino aveva appena realizzato una permuta con l’Eni: la società cedeva pochi ettari di terreno agricolo al Comune di Scarlino, in cambio il Comune acquisiva anche la proprietà delle discariche, compresi gli oneri e i costi che in futuro quelle discariche, ricoperte con le ceneri di pirite, dovessero richiedere, anche se al momento della permuta non erano prevedibili, anche se i futuri costi fossero conseguenza delle passate attività industriali! (40). Ci fu pure un ricercatore del CNR di Pisa, il dott. Bronzetti, che in un articolo di cronaca locale cercò di legittimare le analisi dell’Eni (41).

In realtà, la Giunta Regionale nel testo della Delibera n¡5067/89 aveva in premessa preso atto di circostanze non vere che consentirono di deliberare un uso dannoso delle ceneri: pur avendo le USL di Grosseto segnalato (42) la pericolosità delle ceneri di pirite, preferì fare riferimento alle analisi presentate dall’Eni, analisi non valide, perché… eseguite con metodi usabili solo per rifiuti collocati in ambienti sigillati e isolati dalle acque superficiali.

Ma la Giunta regionale toscana aveva anche autorizzato, nel novembre del 1987 (Delibera n¡10818/87), una bonifica sulla piana di Scarlino e uno stoccaggio “provvisorio” di ceneri (considerato provvisorio tuttora), nonostante il parere contrario della Commissione Tecnica Regionale, che nella sua Relazione non lascia dubbi sulla permeabilità di quei terreni, cosa che rendeva illecito il semplice stoccaggio provvisorio di rifiuti tossici. Invece furono autorizzate anche discariche permanenti di milioni di mc di rifiuti tossici. Ciò che è scritto in quella Relazione impressiona, perché… rimane un mistero come i pareri espressi all’unanimità da tecnici qualificati siano stati ignorati dalla Giunta regionale.

Il cumulo di ceneri a Scarlino, provvisorio dal 1986…

Agosto 1985. La Solmine chiede alla Provincia l’autorizzazione a realizzare nuove discariche sul padule di Scarlino. La società Eni ha già realizzato discariche di ceneri di pirite in località Salciaia, su terre del padule demaniale, in terreni acquitrinosi (a pochi metri dagli attuali pozzi di acqua potabile oggi inquinati e chiusi), ottenendo dall’Intendenza di Finanza di Grosseto una concessione per la bonifica dei terreni con deposito di materiali definiti sterili, anzich… tossici e nocivi a norma della L.915/82 (21).

Solo dopo il 1985, per effetto di nuove normative, la Provincia trasmette alla Regione la richiesta di realizzare ulteriori discariche per ottenere il parere della Commissione Tecnica Regionale.

Agosto 1986. Dal Rapporto Finale della Commissione Tecnica Regionale (delib.G.R.T. n¡1887/86) si legge a pag.47, a proposito della natura dei terreni su cui poggia il cumulo di ceneri di pirite, detto” il panettone”, al Casone di Scarlino:

“I dati riportati dimostrano chiaramente l’impossibilità (sui terreni geolitologicamente simili a quelli che si riscontrano nel padule di Scarlino) di raggiungere quote di rilevati anche di piccole altezze, senza indurre nel terreno fondale cedimenti notevoli, non accettabili per un impianto di discarica (sia provvisoria che definitiva) anche in base a quanto citato dai punti….della C.I. del 17/7/84.”;

a pag.50 si legge che i litotipi rinvenuti sotto lo strato di ceneri sono di varia composizione con presenza anche di sabbie ghiaiose, facilmente permeabili, tali da far dedurre che: ” La presenza di vari litotipi e le relative potenze di strato non risultano costanti, evidenziando anche in questo caso il fenomeno- eteropsia di facies- tipico delle zone palustri.”

Di questa eterogeneità e permeabilità dei substrati, non ammessa per le discariche dalla L.915/82, come ricordato dalla Commissione Tecnica Regionale, non terrà conto la Giunta Regionale Toscana quando nella delibera n¡ 10818/87 autorizzerà lo stoccaggio definitivo di altre 760.000 mc. di ceneri di piriti a copertura delle vasche di fanghi, già realizzate in precedenza sul padule di Scarlino.

Si legge a pag. 51: “…l’ammasso di ceneri è poggiato in falda con quote di sprofondamento variabili…In particolare per i sondaggi 5 e 7 si ha un affondamento delle ceneri in zona di falda superficiale rispettivamente per 3,90 e 4,40 ml. Tali dati non fanno che confermare come grave e preoccupante la situazione attuale dell’accumulo e portano come logica conseguenza alla necessità di intraprendere misure immediate.”(sottolineatura della Commissione Tecnica).

A pag 57, nel capitolo relativo alla – Valutazione della situazione di smaltimento in atto- si legge: “Lo stoccaggio ceneri appare come l’elemento di maggiore preoccupazione per il quale si rende necessaria, stante la grave situazione in cui versa l’accumulo: a) la cessazione immediata dello scarico; b) la completa rimozione della massa giacente con la sua contestuale sistemazione in idonea discarica per lo stoccaggio controllato definitivo; c) la bonifica degli strati superficiali di terreno interessati dalla contaminazione del percolato dei rifiuti.”

A pag. 48, nel capitolo relativo alle -Indicazioni e prescrizioni tecniche-lettera d, si legge: “E’ indispensabile provvedere con indifferibilità ed urgenza alla rimozione dell’ammasso attuale delle ceneri ematitiche. Tale ammasso possiede infatti dimensioni e caratteristiche tali da rappresentare concretamente alla luce dei dati verificati in sito e del tipo di rifiuto in oggetto un pericolo potenziale per il precario equilibrio della zona.”.

Le prescrizioni sopra indicate venivano formulate dalla Commissione Tecnica Regionale sulla base di analisi chimiche incomplete e sui soli contenuti accertati di Arsenico nella sostanza secca, perchéè i rilasci in acqua degli altri metalli tossici certificati dalla Solmine, pur preoccupanti per la quantità assoluta di ceneri stoccate, erano stati fatti in CO2, anzichè in acido acetico, come prescrive la legge e non risultavano fuori norma.

Quando gli accertamenti verranno fatti correttamente dalle Usl 25 e 28 e resi pubblici, si saprà che tali rilasci sono maggiori anche di 300 volte rispetto a quelli registrati in CO2, superando in diversi casi di 10 volte i limiti della tabella A della Legge Merli (43). Ciò fu segnalato dalla stessa Relazione Finale della Commissione Tecnica dove a pag.44 si riteneva che “…in considerazione dell’ambiente specifico in cui detti rifiuti sono stati accumulati (microclima caratterizzato da piogge acide, presenza di SO2-SO3 in zona), sia doveroso eseguire una serie di prove di cessione con il test dell’acido acetico, più consono ad evidenziare le reali condizioni di dilavamento che possono manifestarsi.”

Maggio 1990. La Solmine chiede e ottiene dalla Regione Toscana una seconda proroga per le attività di discarica delle ceneri in padule, con una seconda variante in corso d’opera e, anche sulla base di analisi condotte dalla Commissione di Collaudo dei lavori di bonifica in corso, chiede che il deposito di ceneri venga trasformato da provvisorio in definitivo o, in sub ordine , sia concessa una seconda proroga di cinque anni.

Va ricordato che la Commissione di Collaudo dei lavori continuerà a produrre analisi delle ceneri non rispettando le indicazioni previste dalle Disposizioni del Comitato Interministeriale di cui all’art.5 del D.P.R.915/82 (44) e come sollecitato dalla Commissione Tecnica Regionale.

Maggio 1992.La Solmine chiede e ottiene dalla Regione Toscana una terza proroga all’esercizio dello stoccaggio provvisorio delle ceneri di pirite nel padule e una terza proroga alla rimozione del cumulo, facendo presente che “…si prevede l’inizio della fase di rimozione intensiva a partire dal ’94…” con rate di vendita di 150/200.000 t./anno e con un tempo complessivo di vendita di altri 10 anni. Anche il progetto di bonifica presentato dalla Solmine nell’87, prevedeva la vendita di altrettanti quantitativi, mai avvenuta (45).

Dicembre 1997. La Nuova Solmine presenta l’ennesimo progetto di bonifica in cui si prevede la ennesima cessione delle ceneri a terzi nel quantitativo di 150.000 t/anno, fino al completo smaltimento del cumulo, previsto nei prossimi 12-15 anni! Si richiede inoltre di realizzare un’altra discarica di rifiuti pericolosi sui terreni del Casone di Scarlino! (46).

Della Commissione Regionale che stese all’unanimità la Relazione Finale facevano parte due ingegneri idraulici, di cui uno docente universitario, due geologi, un chimico analista e due dirigenti tecnici della Regione Toscana.

Le discariche erano state realizzate alla fine degli anni ’80 nella piana di Scarlino, in zone limitrofe a pozzi di acqua potabile che servivano la città di Follonica e nel ’95 le falde acquifere sottostanti avevano incominciato a segnalare la presenza di mercurio oltre i limiti consentiti per le acque potabili e di conseguenza vennero abbandonate.

I danni alla collettività si manifestavano con evidenza e le omissioni, i ritardi, le inadempienze e i falsi erano tali che non potevamo più sperare che il ceto politico avesse la forza di fare pulizia tra le proprie fila e ci decidemmo nell’aprile del ’98, a denunciare tutto alla Magistratura.

Il sindaco di Scarlino ritenne di essere stata calunniata e presentò querela successivamente archiviata dal GIP, il quale conferma le conclusioni della Procura, che ha ritenuto che ci eravamo limitati “…ad esporre i fatti e a trarne conseguenze che, pur sostanziandosi in critiche molto sostenute, non possono in alcun modo assumere rilievo penale.” (47). Ciò nonostante nulla è cambiato nelle scelte di governo della Toscana, anzi…

Sul Tafone di Manciano

Il Commissario straordinario dott. Fabio Bernardini, incaricato dalla Regione Toscana di realizzare il Piano provinciale dei rifiuti, scelse tra tre diverse alternative, il sito del Tafone di Manciano, dove realizzare una discarica temporanea di rifiuti urbani, nonostante lo studio comparativo di fattibilità escludesse tale scelta (23).

Nel giustificarsi, il Bernardini sostenne che per il sito del Tafone, area ricadente in una concessione mineraria dell’Eni, usata come discarica industriale, non fossero previsti impedimenti in quanto il vincolo minerario sarebbe stato “inesistente”, come pure “inesistenti” sarebbero stati i costi di bonifica dei terreni, su cui erano stati depositati materiali definiti dallo stesso Commissario “sterili”(24).

In realtà il Distretto Minerario aveva espresso solo un parere di massima favorevole alla realizzazione della discarica di rifiuti urbani, in relazione alle sue competenze tecniche di natura geostatiche e, in attesa delle bonifiche ambientali sollecitate dallo stesso Distretto agli altri Uffici competenti (25), non aveva annullato i vincoli minerari (26). Gli altri Uffici tecnici locali, Arpat, Provincia e Regione, competenti sulle bonifiche ambientali, avevano accertato inquinamenti dal ‘93 e richiesto nel frattempo uno studio preliminare all’Eni (27). Viceversa il Commissario attribuì alla natura la responsabilità delle concentrazioni fuori norma dei metalli tossici nelle aree di discarica degli “sterili” e nelle vasche di decantazione dei fanghi di laveria, dimenticando l’opera industriale di concentrazione e lavorazione dei minerali! (28) e sulla base di una lettera, dove vengono fatte valutazioni “visive” dal prof.Tacconi (che concluse affermando che: “…la maggior parte dei costituenti naturali dei depositi in esame risultano alterati dai processi fisici subiti, disgregati dall’escavazione mineraria ed inoltre di colore scuro, al punto da rendere talvolta dubbia la loro esatta natura.”), escluse con un Decreto (29) il sito del Tafone dai vincoli di bonifica della L.R.29/93 ed espropriò, due mesi dopo, tutta la superficie interessata dalle attività minerarie, dieci volte superiore a quella tecnicamente necessaria per la discarica di rifiuti urbani e dieci volte superiore a quella formalmente autorizzata dalla Provincia di Grosseto per la realizzazione della suddetta discarica, alterando il documento tecnico-analitico (Particellare d’esproprio) autorizzato dalla Provincia di Grosseto (30).

Con l’esproprio il dott. Bernardini offrì un indennizzo di 498 milioni alla Campiano Mineraria s.p.a. (Eni), valutando i terreni a prezzo di mercato dei terreni fertili, ma al netto di un costo di bonifica stimato, non si sa come, a 224 milioni di lire. Con questi atti l’Eni veniva di fatto liberata dagli obblighi di legge per la bonifica e incassava per terreni per lo più improduttivi circa mezzo miliardo.

Pubblicato il Decreto d’esproprio, il Commissario affidò a una società privata l’elaborazione del progetto di bonifica e risultò un costo di massima per la bonifica dei terreni espropriati di 3,7 miliardi (31), che sarebbero rimasti a totale carico della collettività, quando la legislazione prevede che tutte le spese di bonifica, indagini preliminari comprese, siano a carico del soggetto inquinante.

Mentre la Giunta del Comune di Manciano tentò di opporsi a questo “affare”, ricevendo le critiche dell’Assessore Del Lungo, che ritenne valida la procedura usata per l’esclusione del sito dal Piano di bonifica (32), la Giunta provinciale di Grosseto, da noi informata nel giugno ’98 non intervenne. Il Commissario Lamberto Ciani, subentrato al Bernardini e che nel frattempo aveva cercato di ottenere l’approvazione del progetto di bonifica a carico della collettività (33), scrisse nell’agosto ’98 che : “…l’azione del dott. Bernardini risulta giusta negli intenti per la risoluzione di un problema, che appare reale…” (31). Criticammo pubblicamente nel settembre successivo sia il Commissario Ciani, sia la Giunta provinciale, che continuò a sostenere la propria incompetenza (34), ma la pubblicità data al fatto e il parere da noi richiesto e formulato dall’Ufficio legale della Provincia (35), li convinse a cambiare opinione.

Nel novembre’98, a giustificazione di un ripensamento sulla necessità del suddetto Decreto d’esproprio, il Commissario L. Ciani scisse che: “L’azione del Dr Bernardini si è articolata nell’ambito di un rapporto di collaborazione tra lo stesso e l’allora Amministratore della Mineraria Campiano spa e che, pertanto, gli atti emessi in quella fase sono stati realizzati con tale spirito collaborativo e tale atto, essendo stato elaborato nell’ambito dello spirito collaborativo suddetto, si può considerare propedeutico ad un accordo bonario tra le parti …” (36). Non viene spiegato quale fosse l’utilità pubblica in questo accordo bonario. Abbiamo avuto recentemente notizia che l’esproprio è stato ridotto da 32 a 8 ettari, quando inizialmente ne servivano poco più di 3, per depositare sui restanti 5 ettari le terre di “inerti”, che non si sa dove collocare in quanto rifiuti pericolosi…

Temiamo che questo “affare” non sia stato definitivamente accantonato in quanto nel febbraio ‘99 siamo venuti a conoscenza di un finanziamento di1,6 miliardi, concesso dalla Regione Toscana (37) per la bonifica del Tafone di Manciano, attingendo a un fondo comunitario destinato esclusivamente a soggetti pubblici, come se il trasferimento di proprietà dell’area e degli oneri di bonifica dall’Eni agli enti locali fosse stato nel frattempo realizzato.

Il Comitato di Follonica

Gli interessi sulle bonifiche che l’Eni dovrà prima o poi realizzare in Toscana, nelle aree minerarie, sono dell’ordine di decine di miliardi. Normale che la nostra azione critica ci abbia isolato dal ceto politico locale di centrosinistra, una parte del quale è obiettivamente colluso con gli interessi Eni. Ma è tra la popolazione che abbiamo cercato e trovato alleati.

A Follonica operava da diversi anni un Comitato di cittadini, con il quale avevamo buoni rapporti per aver insieme realizzato diverse iniziative su una lunga vertenza contro la realizzazione, nella solita area industriale del Casone di Scarlino, di un impianto di incenerimento dei rifiuti. In questo caso l’Ambiente spa (Eni), scavalcando la programmazione provinciale e regionale sullo smaltimento dei rifiuti, si era fatta autorizzare dal Ministero dell’Industria un grande impianto per la produzione di energia elettrica; aveva ottenuto che la natura dei combustibili, in questo caso rifiuti provenienti da tutto il paese, fosse ininfluente per l’autorizzazione, aggirando così la normativa esistente che impone l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti, il controllo pubblico locale… anche questa una storia di soprusi di manzoniana memoria.

E’ stato naturale che i cittadini del Comitato contro l’inceneritore abbiano allargato i loro interessi al problema dell’inquinamento delle falde idriche nel comune di Follonica. Tanto più che l’inquinamento faceva registrare nel 1998 il sequestro e la chiusura di un altro pozzo per una presenza di mercurio in soluzione 50 volte superiore alla concentrazione consentita.

Sul mercurio

La presenza del mercurio nelle piriti trattate nello stabilimento del Casone di Scarlino nel periodo dal 1982 al 1994 è in media 1,6 mg/Kg di minerale. Valori molto più alti sono stati riscontrati nei fanghi stoccati dentro la miniera di Campiano (da 3 a 30mg/Kg di sostanza secca) che però non possono essere generalizzati (48).

Nel periodo ‘82 -‘94 furono fuse nello stabilimento del Casone 7/8 milioni di tonnellate di minerale. Quindi in fusione sono state liberate 1,6 g/ton x 7.500.000 ton =12 ton di mercurio, circa una tonnellata all’anno.

Abbiamo chiesto invano ai responsabili provinciali del controllo sui rifiuti, anche con interrogazioni (49), dove fossero finite queste tonnellate di mercurio, visto che nell’unico prodotto finito in uscita dall’azienda, l’acido solforico, non si riscontrano quantità di mercurio e visto che l’azienda non è mai stata autorizzata a cedere scarti di lavorazione mercuriferi.

Possiamo tuttavia dedurre la quantità di mercurio dispersa con i fumi per differenza tra la quantità in entrata liberata con la fusione del minerale (12 ton) e la quantità in uscita con le ceneri di scarto. Conoscendo la concentrazione del mercurio nelle ceneri pari in media a 0,8 mg/kg ed essendo le ceneri di pirite un 75% in peso del minerale, possiamo calcolare il mercurio disperso con le ceneri (7.500.000 ton x 0,75x 0,8 g/ton) pari a 4,5 ton di mercurio. Il restante 75, ton è stato probabilmente disperso con i fumi, ma, come per l’arsenico, non abbiamo documentazione certa di tali concentrazioni gassose, in quanto il sistema di monitoraggio realizzato non prevedeva la ricerca del mercurio presente nei fumi.

La dispersione di mercurio avviene anche dai depositi di pirite adiacenti gli impianti, dove l’acqua piovana forma delle pozze. In tali luoghi si rilevano concentrazioni di Hg in soluzione da 2,5 a 4 mg/lt. Molto probabilmente l’acqua piovana dissocia i solfuri con sviluppo di batteri e produzione di acido solforico, che è capace di dissociare sali di mercurio altrimenti insolubili. Se tali concentrazioni scendono nelle falde, rendono inservibili le acque per uso potabile, superando il limite di 1 mg/lt.

E’ iniziata così un’utile collaborazione con un’altra forza vitale della società, capace di mobilitare e trascinare molti cittadini e anche singoli soggetti politici onesti, presenti all’interno delle forze di governo.

Fu il Comitato di Follonica, accompagnato da amministratori locali, a portare a Roma, nei palazzi del potere politico, la documentazione dell’inquinamento in atto, dopo una difficile trattativa tra il Comitato e le forze politiche locali sul contenuto della documentazione da allegare. Ma dentro il Comitato non fu difficile isolare coloro che chiedevano di non affrontare a Roma anche il tema delle bonifiche.

Infatti l’Eni per realizzare quell’inceneritore aveva bisogno della disponibilità di un’area inquinata da arsenico e, anche per questo motivo, l’inceneritore si ricollegava alle bonifiche.

Si andò a Roma in tanti, con un pullman, sperando di ottenere qualcosa. Con una certa emozione e fiducia furono formate le delegazioni: alla Presidenza del Consiglio, dell’On. D’Alema, che ci fece parlare con una sua Segretaria, la quale ci promise attenzione; al Ministro dell’Ambiente, dell’On. Ronchi, che ci fece ricevere dal suo Segretario particolare dott. Canesi e dal Dirigente Damiani, che ci disse che avremmo dovuto rivolgerci ai Carabinieri, (quando dal Ministro dell’Ambiente dipendono gli Ispettori e il Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri), alla Commissione parlamentare sui rifiuti, dove l’On. Scalia ci assicurò di esaminare la documentazione consegnata.

Così la Commissione parlamentare d’inchiesta sui reati connessi al ciclo dei rifiuti, presieduta dall’On. Scalia, nei primi mesi del’99 ricevette la documentazione sulle bonifiche e aprì un’inchiesta, non ancora chiusa.

La Commissione parlamentare d’inchiesta ha richiesto ed ha acquisito, anche successivamente, dal Comitato di Follonica e da noi, tutta la documentazione che avevamo raccolto e ha ascoltato in più sedute i dirigenti Eni, i dirigenti ARPAT e l’Assessore all’Ambiente toscano (50), esprimendo nel corso delle audizioni valutazioni preoccupate sull’inquinamento in atto e critiche alle metodologie d’analisi utilizzate dall’Eni per valutare la pericolosità delle ceneri di pirite (Vedi verbale del 10/3/99, pag 4).

Nonostante in Commissione parlamentare (che ha tutti gli strumenti di accertamento di un giudice inquirente ordinario) il Presidente Scalia avesse definito poco credibile l’ipotesi sostenuta dall’Eni, che l’arsenico trovato disciolto in quantità pericolose nei pozzi fosse dovuto a fenomeni naturali: “…in quanto l’arsenico è presente in natura in composti insolubili.” (vedi verbale del 18/3/99, pag 10), l’ARPAT non ha modificato successivamente le scelte, già fatte, di escludere le responsabilità dell’Eni nelle bonifiche per una presunta diffusione “naturale” dell’arsenico.

Non solo. Mentre in Commissione parlamentare il Presidente Scalia dichiarò ugualmente poco credibile la teoria ipotizzata dal dott. Vichi, responsabile di Ambiente spa (Eni), secondo cui l’inquinamento da mercurio fosse naturale e dovuto alla presenza in falda di acque salmastre: ” la solubilità del solfuro di mercurio naturale da parte dell’acqua salina a me sembra che abbia scarse possibilità…” (Vedi verbale del 10/3/99, pag 9), l’ARPAT ha mantenuto il parere già espresso di escludere ogni responsabilità dell’Eni nell’inquinamento da mercurio.

Ci chiediamo a che cosa servono le Commissioni parlamentari d’inchiesta?

Le responsabilità dell’ARPAT

L’inquinamento non si può più nascondere e i rifiuti definiti prima “inerti” dall’Eni (21) e dagli amministratori regionali (51) sono nel ’98 da rimuovere e da sigillare. L’Eni è costretta nel corso di questi ultimi anni a rispondere al principio “chi inquina paga” e ad iniziare il percorso previsto dalla legislazione sulle bonifiche (in Toscana operante dal ’93), con l’inserimento di 25 siti nel Piano regionale delle bonifiche.

A questo punto l’Eni accantona le progettate permute e la costituzione di società miste con gli Enti pubblici per puntare spudoratamente alla completa eliminazione delle proprie responsabilità: Ambiente spa chiede di eliminare dal Piano regionale di Bonifica il proprio impianto del Casone di Scarlino, inquinato da arsenico, puntando sulla presenza “naturale” di tale elemento e speculando sugli affioramenti nelle colline dell’entroterra di minerali con solfuri metallici. (52)

La legislazione vigente, in merito alle procedure da seguire per il risanamento dei siti inquinati, prevedeva (53) che si dovessero assumere, come obiettivi di riferimento della bonifica, le caratteristiche dei terreni e delle acque circostanti non inquinate dalle attività umane e che si dovesse caratterizzare le condizioni precedenti all’inquinamento, acquisendo tutta la documentazione tecnico scientifica disponibile, (compresa la ricostruzione dell’uso storico del sito negli ultimi 30 anni). Invece tutto questo non è avvenuto e gli organi tecnici del Comune di Scarlino, della Provincia di Grosseto, del Genio Civile e della ASL 9, coordinati dal dott. Cellesi dell’ARPAT, hanno espresso un parere favorevole all’accoglimento della richiesta di esclusione, sulla base della certificazione della presenza di arsenico anche nei terreni esterni e circostanti l’impianto da bonificare, accettando l’ipotesi della presenza di arsenico in quantità tossica per motivi naturali, preesistenti alle attività industriali praticate in quella area. (54)

Sembrerebbe impossibile che tecnici possano proporre o accettare facilmente l’identità tra fenomeno naturale e un inquinamento in precedenza assente, dato che la natura non ha mai concentrato quanto l’uomo è stato capace di fare con le sue attività industriali.

Ma se si vuole giustificare la richiesta di esclusione con la tesi della presenza di arsenico per anomalie geochimiche naturali, appare evidente che non si possano dimenticare gli studi esistenti sulle anomalie geochimiche realizzati nel recente passato.

Sul bacino del fiume Pecora, che generò per successive recenti alluvioni i terreni del Casone di Scarlino, fu compiuto uno studio di grande spessore, non più ripetuto, finanziato negli anni ’80 dallo Stato, quando ancora c’era interesse allo sfruttamento minerario del territorio della Toscana meridionale. Questo studio, avendo raccolto una mole di dati mai registrati in tempi più recenti, resta un punto di riferimento obbligatorio e non trascurabile (vedi Scheda Studio sulle anomalie geochimiche), come dimostrano anche le recentissime carte prodotte dall’Istituto di Geochimica Ambientale dell’Università di Siena (prof.ri Protano, Riccobono e Sabatini), che utilizzano appunto i dati di quella ricerca. (55)

Studio sulle anomalie geochimiche

La ricerca è conosciuta con il nome Toscana 2-2 bis e Toscana 3 e fu realizzata nel corso degli anni ’80 da una società dello stesso gruppo Eni (quindi oggi non contestabile dallo stesso soggetto), la Rimin spa, su convenzione con il Ministero dell’Industria (56). Era finalizzata alla ricerca di anomalie geochimiche con lo scopo di poter circoscrivere sul territorio le aree dove le anomalie registrate potessero essere interpretate come dispersioni di elementi e/o minerali legati a mineralizzazioni affioranti, sub affioranti o situate a profondità relative, sfruttabili dall’industria estrattiva.

Il piccolo bacino del Pecora, viene analizzato a fondo e lo studio Toscana 2 ci mette a disposizione i dati analitici di oltre 500 siti, ma vengono escluse subito dagli stessi ricercatori la pianura costiera e le aree adiacenti il Casone di Scarlino.

I motivi dell’esclusione della pianura, raccontati in parte dagli stessi esecutori della ricerca e scritti nella relazione, sono evidenti:

a) era ragionevole escludere dalla ricerca di anomalie chimiche naturali la pianura alluvionale più recente, visto che l’esperienza diretta dei ricercatori aveva loro dimostrato sul campo che le concentrazioni anomale dei metalli nei sedimenti fluviali si diluiscono molto rapidamente scendendo a valle; infatti i dati analitici dei detriti provenienti dalle stesse zone minerarie rientrano nell’ambito della normalità già dopo pochi chilometri a valle delle stesse zone minerarie sfruttate. Tutto ciò è documentato nelle planimetrie indicanti la localizzazione dei siti esaminati, dove si evince come si sia abbandonato sistematicamente dalla ricerca il tratto di un torrente, dopo pochi chilometri di percorso verso valle, non trascurando invece, alle stesse quote, gli affluenti laterali;

b) era ragionevole escludere dalla ricerca di anomalie chimiche naturali luoghi dove è presente la stessa attività chimico-mineraria con vaste e note dispersioni di minerali e scorie di lavorazione. A pag.5 del fascicolo Progettazione e Campionature dell’Appendice 1 di Toscana 2 bis si legge:”…un certo numero (di campioni progettati) non sono stati prelevati perché… giudicati troppo inquinati e/o privi di significato geochimico. Trattasi infatti di campioni ubicati sotto discariche urbane e/o industriali e con minor frequenza minerarie; campioni ricadenti in aree in cui l’intervento antropico è stato così rilevante da sconvolgere il drenaggio della rete idrografica.”

c) quei ricercatori conoscevano perfettamente la natura dei minerali trattati al Casone di Scarlino e il contenuto delle ceneri e polveri disperse nel territorio circostante gli impianti.

Se, come motivato sopra, non abbiamo dati analitici per il singolo sito del Casone di Scarlino, abbiamo però i dati per tutto il bacino del Pecora, (dati che sono significativi in quanto i terreni della piana di Scarlino sono costituiti da alluvioni recenti quindi generati dalla mescolanza dei materiali erosi e provenienti dai substrati o strati geologici affioranti all’interno del bacino del Pecora, nelle colline retrostanti la pianura di Scarlino e Follonica).

Dall’elaborazione statistica dei dati relativi all’arsenico nel bacino del Pecora, nelle sole aree di anomalia rinvenute all’intern di zone circoscritte nella collina, e suddivisi in gruppi di rocce, si ha che, passando dalle formazioni geologiche più anomale alle meno anomale, il valore medio della concentrazione di As scende da 151 ppm a 108, poi a 78 e infine a 42 ppm e si può osservare come le minori concentrazioni di As si abbiano proprio nelle formazioni geologiche più recenti.

Questi dati sono un’ulteriore conferma di quanto detto: le aree di anomalia per l’arsenico, che sono ben localizzate nelle colline dell’entroterra, su rocce geologicamente più antiche e affioranti in luoghi lontani dalla pianura costiera, forniscono valori di concentrazione anomala di qualche centinaio di ppm e producono sedimenti che si diluiscono nella concentrazione molto velocemente scendendo verso valle, in quanto il trasporto alluvionale non fa che diluire le concentrazioni di arsenico, arricchendosi di altri apporti privi di tale elemento.

Quell’inquinamento adiacente al Casone di Scarlino, solo oggi rilevato, può invece essere ragionevolmente attribuibile alle attività chimiche minerarie, esercitate negli anni passati dalle varie società del gruppo Eni (vedi scheda sulla dispersione di As).

Altri studi scientifici sono stati condotti sui sedimenti marini antistanti la costa tirrenica (57). Da questi emerge la presenza di anomalie con eccessiva concentrazione di arsenico nei tratti antistanti il golfo di Follonica, limitata però ai centimetri superficiali dei sedimenti. La mancanza di arsenico nei sedimenti sottostanti fa concludere ai ricercatori che l’origine delle anomalie è dovuta alla dispersione dei fumi e polveri provenienti dalla fusione dei solfuri misti.

Viceversa, l’ARPAT di Grosseto e gli altri Uffici tecnici locali hanno espresso parere favorevole alla esclusione dal Piano di Bonifica del sito in questione, (senza tener conto n… degli studi fatti in passato sulle anomalie geochimiche, n… soprattutto della attività industriali esercitate in quel territorio negli ultimi anni), come ha confermato l’Assessore provinciale all’Ambiente D. Morandi, il quale rispose a una nostra interrogazione in Consiglio Provinciale (58) affermando che quegli studi da noi citati e non presi in esame hanno comunque fatto registrare “…ovunque la presenza di metalli pesanti.” Come se ovunque ci fossero concentrazioni tossiche! Può essere solo ignoranza? Chi sicuramente non può ignorare i processi di lavorazione realizzati negli impianti Eni è l’ARPAT di Grosseto: una annotazione sui processi di lavorazione realizzati nell’area di Scarlino viene fatta nel verbale della seduta in cui l’ARPAT e gli altri organi tecnici esprimono il loro parere. Ma viene fatta in modo ingannevole e per sostenere una tesi non dimostrabile. Si legge nel verbale citato che l’origine naturale è verificata dalla “… presenza ubiquitaria di arsenico…e contestualmente di un contenuto in piombo nei terreni indagati in concentrazioni che rientrano nei valori normali, assai più bassi di quelli contenuti nelle matrici caratteristiche della lavorazioni delle piriti. ” Cosa non vera. Infatti le ceneri magnetitiche, prodotte proprio dall’impianto di pellettizzazione in questione e a differenza delle ceneri ematitiche, sono tossiche per l’arsenico e a norma per il piombo, che passa nei pellets ferrosi, al punto che a causa del loro alto contenuto in piombo furono rifiutati dalle acciaierie e per questo motivo l’impianto in questione cessò di funzionare (59).

L’ARPAT manterrà la sua scelta anche quando verrà a conoscenza di concentrazioni molto pericolose di arsenico addirittura disciolto in soluzione (cosa ritenuta in letteratura del tutto improbabile per fenomeni naturali) nelle falde superficiali della zona dell’area industriale del Casone di Scarlino, come confermato dallo stesso dott. Giannerini dell’ARPAT di Grosseto alla Commissione Parlamentare nella seduta del 18 marzo 1999 (vedi pag. 10 del resoconto stenografico).

Questa presenza di arsenico disciolto nelle falde idriche superficiali e riscontrata in due pozzi dell’area industriale è pericolosissima per la diffusione dell’inquinamento sul territorio circostante. Il 22/7/99 (non ci sono stati forniti i dati dei prelievi precedenti e non sappiamo il motivo) è stata dall’ARPAT registrata la presenza di 3.300 mg/l, cioè 330 volte superiore ai limiti accettabili di concentrazione di arsenico nelle acque sotterranee, sette volte superiore ai limiti accettabili delle acque industriali reflue (0,5 mg/l), molto superiore alla soglia massima documentata dell’evidenza epidemiologica, rilevata in studi sul consumo cronico di acque che provocano un elevato rischio di insorgenza di tumori in varie parti del corpo (vedi Mc Graw-Hill 1998 e vedi Iarc1998, che indica una concentrazione a rischio di 350-1140 mg/l).

Non sappiamo dove quella falda superficiale va a confluire, ma sappiamo che nei terreni vicini sono presenti falde idriche superficiali e negli strati alluvionali della pianura a pochi metri di profondità vi sono diversi paleoalvei ghiaiosi che scendono verso il mare e molto presumibilmente alimentano altre falde idriche. (52)

La circostanza che questi pozzi sono adiacenti a stoccaggi provvisori (da almeno 15 anni!) di ceneri di pirite e adiacenti a stoccaggi abusivi di fini di piriti, (ambedue dell’ordine di milioni di metri cubi), è stata volutamente omessa nel parere tecnico dell’ARPAT. Come pure è stato omesso il fatto che l’anidride arseniosa (vedi scheda sull’arsenico) è sicuramente stata dispersa in gran quantità con i fumi di arrostimento delle piriti; per non parlare delle denunce che ripetutamente gli agricoltori della zona hanno fatto per essere risarciti dei danni prodotti alle loro colture dalle polveri disperse dagli impianti della Solmine(60).

L’ARPAT non ha tenuto conto che i cumuli di rifiuti, sicuramente contenenti arsenico, sono anche sprofondati nella falda superficiale e ancora oggi accumulati a cielo aperto dove i fumi di pirite con le acque meteoriche sono capaci di produrre un’acidità estrema, in cui si liberano tutti i solfuri metallici, altrimenti insolubili (16).Queste falde superficiali inquinate da arsenico disciolto sono da sole sufficienti a spiegare la presenza di arsenico nei terreni della zona, anche a profondità di qualche metro.

Il dubbio che si fosse compiuto un ennesimo grossolano errore ci fece avvertire con lettera tutti gli organi amministrativi competenti, ma l’ARPAT e gli uffici tecnici di Comune e Provincia non hanno recuperato la documentazione storica e tecnica da noi segnalata. Per giustificare la scelta fatta, sono stati riportati i dati di altri terreni, collocati a qualche chilometro dagli impianti, alcuni dei quali (quattro) segnalavano ancora la presenza di arsenico in quantità notevole.

Accompagnati dal rappresentante di zona della Coldiretti dott.Renzo Fedi e da un amico geologo abbiamo voluto recarci sul posto. Percorrendo quelle strade poderali, che portano ai siti indagati, abbiamo riconosciuto subito l’inconfondibile colore nero delle ceneri magnetitiche, rifiuti tossici dell’impianto di pellettizzazione del Casone di Scarlino, che a tratti emergevano dal fondo sterrato delle strade, più recentemente ricoperte con ghiaia calcare bianca.(15)

Sapevamo che nel passato erano state distribuite dall’azienda queste ceneri in modo truffaldino, consegnandole agli agricoltori come “inerti” e lo avevamo anche segnalato al Comune di Scarlino e agli Uffici tecnici della Provincia, ma non potevamo immaginare che il fenomeno fosse così esteso.

Ci siamo fatti indicare dai proprietari, dai coltivatori e dai fattori tutti i punti dove i tecnici Eni e ARPAT avevano congiuntamente prelevato i campioni da analizzare: in alcuni siti le ceneri erano evidenti in superficie.e in tutti i siti segnalati con una presenza elevata di arsenico, abbiamo raccolto la testimonianza che vi furono depositate molte decine di tonnellate di ceneri magnetitiche, usate in perfetta buona fede dai proprietari di quei poderi come materiale “inerte”, (per “bonificare” i piazzali antistanti i casolari, per “sanare” le concimaie e mandrioli non più utilizzati e per ricostruire il fondo di strade sterrate) (61).

Viceversa, nei siti più lontani dagli impianti, dove l’arsenico non era stato rilevato in quantità pericolose dalle analisi effettuate dall’ARPAT, queste ceneri non erano state depositate.

Ma contemporaneamente abbiamo dovuto subire un’altra omissione di atti dovuti.

Abbiamo presentato formale opposizione alla eliminazione del sito dal Piano Regionale di Bonifica e la legge regionale 25/98 ci consente di ottenere almeno che le osservazioni siano prese in considerazione attraverso una procedura di pubblicità delle eventuali motivazioni della non accoglienza delle osservazioni. Viceversa la Amministrazione provinciale di Grosseto evita di entrare nel merito delle opposizioni presentate, omette di trasmetterle alla Giunta regionale nei termini di legge (62), prende formale parere di esclusione del sito Eni dalle bonifiche (63), cosicch… alla Giunta Regionale perviene il parere favorevole espresso dalla Provincia di Grosseto successivamente alla chiusura dei termini di pubblicità delle osservazioni e il Consiglio Regionale Toscano si dichiara favorevole alla esclusione del sito.

Cita l’art.10, comma 5¡ della legge regionale 25/98: “…la Giunta regionale presenta la proposta di piano al Consiglio, dando atto delle modifiche apportate e motivando in ordine alle osservazioni non accolte. Il Consiglio approva il Piano accogliendo o respingendo le osservazioni presentate”. Tutto questo non è avvenuto. Senza entrare nel merito delle nostre osservazioni, vengono respinte senza motivazione, come ha già fatto l’Amministrazione provinciale di Grosseto.

Abbiamo voluto informare di nuovo di tutta questa storia i dirigenti regionali della struttura tecnica di controllo ambientale, il dott. Lippi e il dott. Agati, sperando di poter evitare l’accoglimento della richiesta dell’Eni e poter quindi avviare la bonifica dell’area del Casone, che non può attendere oltre.

Abbiamo anche segnalato tutti i fatti all’Assessore regionale, il Verde Del Lungo, sperando che potesse usare le funzioni di controllo che la legge regionale sul Piano Regionale di bonifica gli assegna, ma tutto è stato vano.

“Vogliamo cioè sapere secondo quali metodologie, con quali criteri, con quali obiettivi, in che tempi, con quali costi intendete procedere?” chiedeva l’On. Scalia al funzionario dell’ARPAT dott. Giannerini il 18/3/99 in Commissione Parlamentare d’inchiesta sui reati connessi al ciclo dei rifiuti (Vedi verbali della seduta del 18/3/99), riferendosi alle falde idriche inquinate di Follonica e di Scarlino.

Poiché… si tratta di arsenico disciolto in quantità letali che sta scendendo inesorabilmente verso valle al mare, inserendosi e inquinando altre falde, oggi, che l’Eni non è più ritenuta dalla Regione Toscana responsabile dei danni prodotti dalle sue attività, chiediamo noi al Verde On. Scalia: quando e chi bonificherà queste acque? E questa Regione Toscana non necessita forse di radicali bonifiche?

Il ruolo della Magistratura

Se il potere politico, rappresentato da amministratori di Comuni, Provincia e Regione, è tendenzialmente esecutore di decisioni prese nelle stanze dei consigli d’amministrazione delle grandi aziende private, la Magistratura è anch’essa condizionata dal potere economico? Oppure ha esercitato effettivamente un ruolo autonomo e separato da quello politico, come recita la Carta Costituzionale?

In ultima analisi la Magistratura ha, nel caso specifico in esame, esercitato il suo potere-dovere di controllo?

Se ci si attiene alle inchieste già concluse, la risposta è no!

Nel 1995, dopo la chiusura per inquinamento da mercurio dei primi pozzi di acqua potabile nel Comune di Scarlino, fu avviata un’indagine dall’allora Procuratore della Repubblica presso la Pretura dott. Federico, il quale affidò il 9/6/95 ai Consulenti tecnici, (come è scritto nel verbale di conferimento dell’incarico), un preciso mandato: “Accertino i Consulenti tecnici, con riferimento alle attività industriali presenti nell’area di Scarlino e di Follonica-Montioni, la regolare esecuzione delle opere di bonifica con particolare riferimento ai gessi chimici, al solfato ferroso e alle scorie di pirite. Accertino inoltre se risultano nelle acque potabili della zona alimentate da pozzi industriali tracce di metalli pesanti, accertandone in caso positivo le cause”.

I Consulenti svolsero il lavoro nei pochi giorni loro assegnati e nella Relazione Consulenza Tecnico EcoTossicologica (64) si legge che le analisi compiute sulle acque di falda hanno documentato la presenza di 65 (sessantacinque) parametri chimici-biologici fuori norma su 21 (ventuno) campioni di acqua prelevata e si consiglia di effettuare in tempi brevi “…un monitoraggio a fine sanitario per vedere se il mercurio presente nelle acque di Follonica sia entrato a far parte del ciclo biologico e alimentare interessando quindi anche l’uomo”. Si legge anche che è documentata la provenienza organica del mercurio e, pertanto, la sua grande pericolosità per la salute umana.

Per quanto riguarda le discariche di rifiuti solidi adiacenti ai pozzi inquinati, si legge che, nel breve tempo loro concesso, è stato possibile raccogliere solo i dati forniti dall’Azienda, ma che per una valutazione definitiva sarebbe stato necessario analizzare le polveri delle ceneri di pirite per verificare se l’acidità (prodotta dalla dispersione di grandi quantità di anidride solforosa e solforica nei fumi), ha reso possibile la solubilità del mercurio contenuto nei minerali trattati e ceneri giacenti sui piazzali.

Si legge che sarebbe opportuno conoscere l’entità delle immissioni al suolo provenienti dai fumi della combustione del minerale. Inoltre che tali attività hanno prodotto e stoccato sul posto milioni di tonnellate di rifiuti tossici e nocivi, che parte delle ceneri di piriti sono stoccate in un cumulo alto 19 metri ed esteso per otto ettari. Si legge che tali ceneri di pirite, oltre che spolverare nei campi limitrofi, sono sprofondate nella falda superficiale per 5 metri di profondità (e siamo nel padule di Scarlino…) e che sono abbandonate alle piogge meteoriche dilavanti, senza adeguate cautele. Infine che la gestione dei rifiuti tossici merita: “severe critiche”.

Relazione dei Consulenti Tecnici della Magistratura

Cosa scrivevano i Consulenti tecnici della Magistratura inquirente nel 1995 relativamente alla discarica di ceneri di pirite denominata “cumulo”, tutt’oggi abbandonata e sprofondata nel padule di Scarlino (a pag.37-39 della Consulenza Tecnica Eco Tossicologica allegata agli atti del Procedimento n¡95/5162 della Procura presso la Pretura di Grosseto):

“Ipotizzando di avere un valore di cessione di 4 mg/l (dato ricorrente nell’eleuato acetico dei fanghi dei bacini) esso risulta inferiore alla concentrazione limite riportata nella tab. A della legge 319/76 (concentrazione limite del mercurio nelle acque di scarico pari a 5 mg/l), ma se queste quantità di mercurio passasse realmente in soluzione per dilavamento e percolazione e raggiungesse l’acquifero profondo, anche se protetto da banchi d’argilla, avremmo nell’acqua 4 mg/l con un quantitativo in mercurio 4 volte superiore a quanto fissato dal D.P.R. 236/88 relativo alla quantità (di mercurio) delle acque destinate al consumo umano.”

I tecnici sostengono che gli scarichi aziendali dei fanghi nelle acque di superficie, pur essendo nei limiti di legge per lo scarico superficiale, sono quattro volte superiore ai limiti consentiti nelle acque potabili ed è per evitare i rischi di inquinamento dalla superficie che le normali misure precauzionali a difesa dei pozzi di acqua potabile debbono per legge prevedere una adeguata zona di rispetto, vincolata nelle attività, per proteggere le acque di falda. Viceversa in superficie si è autorizzato discariche di “inerti”, in realtà discariche di rifiuti tossici e nocivi.

Scrivono ancora i Consulenti in merito alle ceneri: “…Pur non ritenendo realistico, allo stato presente una loro rimozione in un area più idonea, si esprimono severe critiche (sottolineatura dei Consulenti) sul modo di gestione di tale materiale: è stato abbozzato un tentativo di “bonifica” molto rozzo, senza un modellamento apprezzabile, con uno scarso apporto di terreno agrario sui fianchi, che data l’eccessiva pendenza e l’elevata quota viene facilmente dilavato dalle piogge, anche perché… l’inerbimento non è curato, si vedono rari cespugli con fili d’erba secca. La sommità del cumulo non è rimodellata n… rivestita di terreno agrario e quindi non inerbita, ne consegue che i venti, nelle stagioni secche , possono trasportare polvere nelle aree circostanti, essendo le ceneri di natura polverulenta. Ma pur essendo state definite materie prime non si può ignorare che il solido risulta Tossico e Nocivo per il contenuto di 500 mg/kg di arsenico e suoi sali. Il solido è risultato “inerte” ai test di cessione per eluizione acetica e carbonica, ma il trasporto eolico resta pericoloso per la flora e la fauna e in particolare per il personale che opera in tale aree.”

Da sottolineare che in riferimento alla pericolosità delle ceneri i Consulenti riportano quanto comunicato loro dalla direzione aziendale. L’Azienda (la Solmine-Eni), che ha sempre cercato di nascondere la reale pericolosità delle ceneri, comunica la solita definizione di materiale inerte, ma i Consulenti non ne sono convinti, tant’è che il termine inerte nella Consulenza è scritto virgolettato e, come abbiamo visto, i consulenti chiedono al Magistrato di poter svolgere analisi sulle ceneri. Sapremo successivamente, da altre indagini direttamente svolte dalla Procura presso il Tribunale, che in realtà tali ceneri sono pericolose e tossiche anche per la loro capacità di cessione di metalli pesanti.

Le parole usate dai tecnici contengono diverse ipotesi di reato e soprattutto la indicazione di effettuare ulteriori indagini, che non è stato possibile compiere nei pochi giorni loro concessi dal Magistrato. Ciò nonostante il procedimento fu archiviato, n… abbiamo avuto notizia di indagini sulla salute dei cittadini raccomandate dai Consulenti Tecnici.

Noi richiedemmo quegli stessi dati al Presidente della Provincia, Stefano Gentili e all’Assessore Provinciale all’Ambiente, Morandi, mediante interrogazione formale in Consiglio Provinciale, ma senza risultati (49).

Sappiamo che, solo due anni più tardi dall’avvenuta archiviazione, ben 24 siti (collegati alle precedenti attività minerarie e compresi tra i comuni di Montieri, Follonica e Scarlino, e da anni abbandonati alle piogge senza alcuna protezione), sono stati inseriti, a seguito delle nostre segnalazioni, nel Piano regionale di Bonifica, perché… inquinati e con la prescrizione di interventi a breve termine, perchéè ritenuti fonte di un pericoloso inquinamento in atto.

Sappiamo anche che le nostre denunce e quelle di altri cittadini costrinsero la Magistratura a aprire altre indagini sullo stesso fenomeno e oggi è in corso un dibattimento in aula, che vede imputato per danni ambientali un dirigente della Nuova Solmine spa di Scarlino.

Sicuramente sta indagando anche la Procura presso il Tribunale di Grosseto che in due occasioni distinte nel ’97 e nel ’99, conferma indirettamente le nostre preoccupazioni, segnalando agli Uffici competenti sul territorio dati analitici emergenti da indagini in corso, sulla reale natura e pericolosità delle ceneri e sul progressivo inquinamento delle acque dei pozzi di Follonica e Scarlino.

Sembrerebbe che la Magistratura, con questi ultimi atti, pur non avendo chiuso le indagini, abbia inteso segnalare agli Uffici pubblici competenti sul territorio i pericoli per la salute pubblica derivanti dagli inquinamenti nel frattempo accertati. Ma le fonti d’inquinamento non sono state ancora rimosse.

Perché… si consente che fonti certe d’inquinamento, come i depositi di rifiuti tossici di Fenice Capanne, che avvelenano le acque del torrente Zanca e Noni (65), o i rifiuti di San Martino al Casone di Scarlino o le falde all’arsenico dell’area industriale adiacente al padule di Scarlino, continuino ad avvelenare i terreni agricoli e altre acque di superficie e di falda?

Perché… si è lasciato che il personale tecnico degli Uffici pubblici continuasse a disattendere il ruolo istituzionale di vigilanza e controllo, lasciando loro per anni una sorta di impunità?

Anche se non sappiamo quali vincoli oggettivi operino all’interno della Magistratura, di quali mezzi tecnici e finanziari essa disponga per svolgere le necessarie indagini, quali e quante risorse umane siano state messe al suo servizio, il giudizio rimane negativo.

Per il nostro giudizio contano i risultati concreti e dobbiamo denunciare come i tempi per l’accertamento delle ipotesi di reato siano talmente lunghi da garantire di fatto all’Eni l’impunità per prescrizioni, amnistie, condoni,… e possiamo dedurre dai fatti che questa Magistratura è messa dallo stesso potere economico, che già dispone di una parte del personale politico, nella condizione di non poter esercitare le sue funzioni.

D’altra parte queste nostre riflessioni sono condivise dalla generalità della popolazione locale che abbiamo incontrato in questa storia e ciò è devastante per il senso generale di impotenza, di frustrazione e di rassegnazione che questa convinzione induce in molti cittadini che sono a conoscenza dei fatti che andiamo denunciando.

Per tutti e a verifica di quanto diciamo, valga il caso clamoroso del geologo della Provincia di Grosseto dott. Gatti, oggi in pensione, che alla fine degli anni ’70 tentò di porre un limite allo stoccaggio di rifiuti tossici nel padule di Scarlino, scrivendo agli amministratori lettere indignate da tecnico e da cittadino, prevedendo fin da allora gli inquinamenti dei pozzi di acqua potabile e i fenomeni di subsidenza dei rifiuti stoccati. Oggi, dopo tanti anni, assistendo alle nostre iniziative ci definisce “propugnatori di cause perse” e “combattenti contro i mulini a vento” (66) per non voler tenere conto della sua esperienza, come ha pubblicamente scritto: “…di chi per più di dieci anni ha lottato per contenere il più possibile i danni causati da incoscienti criminali che permisero che un polo industriale sorgesse in un’area palustre”.

Documenti del geologo Gatti

Cosa scriveva il geologo capo della Provincia di Grosseto Dott. Gatti (67)

1) Nel 1977 al Sindaco di Scarlino

Oggetto: controdeduzioni al progetto di bonifica idraulica dei terreni agrari della società Solmine spa

“La società Solmine ha presentato il progetto al titolo per ottenere dal Comune di Scarlino l’autorizzazione a scaricare “inerti” per 100.000 mc/anno (un milione in diedi anni) in località Salciaia su un’area di 25-26 ha.

…Il punto di vista della Regione e degli Enti locali…esclude in modo categorico che nel padule di Scarlino e/o nelle aree a monte delle pinete ,le zone possano essere occupate da scarichi industriali e da discariche minerarie, qualsiasi ne siano la natura e la provenienza.

…I moderni concetti di protezione dell’ambiente nel senso più lato di salvaguardia della natura, di prevenzione contro la creazione di pericolosi disequilibri, non ammettono più che paduli o lagune vengano in qualsiasi modo fatti oggetto di forme di “bonifica” che altro non sono state e non sono che sconsiderati modi di manomissione di squilibri di delicati sistemi naturali che si ritorcono poi, con l’andar degli anni, contro l’uomo e il suo habitat ( sprofondamento di terreni, distruzione di coste, avanzata della tavola d’acqua marina…)”

Questi fenomeni, segnalati nel ’77, oggi affliggono la costa di Follonica.

Nonostante tale parere il Comune concesse l’autorizzazione a realizzare la “bonifica”, che in realtà era una discarica. Tutt’oggi quei terreni sono da bonificare, perché… inquinati da arsenico, piombo e altri metalli pesanti. Da notare che nella Relazione il termine bonifica e inerti sono virgolettati a segnalarne una poco probabile corrispondenza letterale.

2) Nel 1978 al Comune di Follonica.

Oggetto: pozzi d’acqua nel comune di Follonica ubicati nel territorio del comune di Scarlino in località Salciaia- discariche Solmine.

Relazione geologica.

“Il Comune di Follonica con lettera 22658 del 30/11/777 esprimeva al Comune di Scarlino preoccupazioni per eventuali possibilità di inquinamento di tre pozzi siti nell’area delle discariche Solmine…

Conclusioni: i pozzi costieri della piana di Follonica o prima o poi se non opportunamente regimentati saranno:

• a) sicuramente invasi da acqua salata;

• b) possono rilevare alle analisi anche eseguite in tempi brevi, presenza di “sostanze” in percentuali non ammissibili per “mineralizzazioni” insite proprio nei livelli permeabili;

• c) è possibile anche un inquinamento dalla superficie solo però nel caso che l’anello di cemento a bocca pozzo e/o l’impermeabilizzazione lungo la colonna, non siano state eseguite a regola d’arte.”

Questi pozzi sono oggi sotto sequestro giudiziario e non più utilizzabili, perché… inquinati da mercurio.

3) Nel 1979 all’Assessore provinciale alla Sicurezza sociale e antinquinamento.

Oggetto: discariche di solidi e non solidi dello stabilimento del Casone di Scarlino, adiacenti il fiume Pecora.

“Il vero è:

• che lo stabilimento del Casone non doveva e non poteva essere ubicato ai bordi di un padule,

• che mai si avrebbe dovuto acconsentire di versare in un padule “inerti”, n… prima, n… tanto meno poi,

• che, a prescindere da qualsiasi considerazione utilitaristica non si andrà molto in là con gli anni, che anche questo scempio territoriale verrà pagato caro dalla collettività.

…Sussiste invece un ben più grave problema di cui si parla poco o si parla affatto: gli accumuli di solfato ferroso… (che) è solubilissimo in acqua con cui si compone formando il vetriolo verde…. Il Pecora potenzialmente può essere l’artefice di vaste alluvioni…Un’esondazione del Pecora che travolgesse le discariche di solfato ferroso (migliaia di tonnellate) provocherebbe danni (si fa per dire) da far impallidire Seveso.”

L’acidità dell’ambiente superficiale verrà indicata dai Consulenti tecnici della procura nel ’95 e dal Prof. Ferrara del CNR di Pisa e prof. Spandre dell’Università di Pisa (68), incaricati dal Comune di Follonica nel ’98, come probabile causa della mobilità del mercurio presente in tracce nei fini di pirite accumulati in superficie. Le discariche di solfato ferroso sono state ricoperte con le ceneri di pirite, altamente tossiche per l’arsenico, e tutt’oggi sono soggette alle esondazioni del Pecora.

Al geologo Gatti, come al Comitato di minatori di Boccheggiano, nessuno ha mai risposto, anche se le loro previsioni si stanno realizzando sotto gli occhi di tutti.

Di questa delusione e rassegnazione generale, prodotta dalla politica e dalla mancanza di una giustizia che in tempi ragionevoli possa o voglia controllare il potere economico, deve farsi carico qualunque gruppo politico coerente ed onesto, rifiutando su questo terreno mediazioni.

Conclusioni

Le conclusioni non le vogliamo fare, perché… abbiamo ancora la speranza che chi leggerà questa storia voglia ribellarsi e voglia concorrere a portarla a termine.

Roberto Barocci,

Responsabile per le politiche ambientali della Federazione di Grosseto del PRC.

Febbraio 2000

La documentazione richiamata dalle note che seguono è a disposizione di chiunque ne faccia richiesta presso l’Autore (0564/493668) o presso l’Editore (Stampa Alternativa c.p. 741 00100 Roma Centro).

Note documentali

(1) Risposta dell’On. Ladu alla interrogazione n 5-00041 in Atti parlamentari della X Commissione del 26/6/96.

(2) Lettere del Distretto Minerario di Grosseto prot.n¡481 del 7/3/97 e n¡993 dell’8/5/98, dove si definiscono le critiche del Sindaco Sani di Massa Marittima espresse in data 20/2/97: ” un tentativo dilatorio per rimandare ad un diverso momento gli atti e i provvedimenti necessari a procedere come affermato.”

(3) Vedi il caso del Tafone di Manciano e del Casone di Scarlino, descritti successivamente nel testo e vedi il caso dell’Amiata. Qui la Comunità Montana è dovuta ricorrere nel ’99 a un finanziamento pubblico di 4,4 miliardi per far fronte ai costi di bonifica, non previsti nell’atto di permuta dei terreni della miniera del Siele, ottenuti nel ’97 “ad un prezzo simbolico, detratti i costi della bonifica…”, come affermò l’ex amministratore della miniera, il quale avendo ceduto i terreni alla Comunità Montana, aveva ceduto anche i costi di bonifica che spettavano invece alla società Eni. Il dirigente, condannato dalla Pretura di Montepulciano nel ’98 a una modesta ammenda è stato chiamato in causa dalla Provincia di Grosseto e Siena solo (!) per abbandono di rifiuti tossici nei pressi della miniera del Siele. Vedi a pag.22 Delibera Giunta regionale Toscana n¡166 del 22/2/99 e Vedi Sentenza n¡549 depositata il 16/12/98 presso la Pretura di Montepulciano.

(4) Pro-Memoria avente per oggetto: Società Nuova Solmine. Proposta di vendita di terreni e fabbricati in vari comuni della provincia di Grosseto. Siglato dal funzionario regionale C/Anna il 28/7/95, la cui autenticità è stata confermata davanti a testimoni dal Consigliere provinciale Niccolaini di Massa Marittima.

(5) Documento trasmesso al Sindaco di Scarlino il 19/2/96 dalla Comunità Montana delle Colline Metallifere: Un patto per il territorio delle Colline Metallifere. Febbraio ’96.

(6) Nuova Solmine spa -Studio per l’utilizzo delle ceneri ematitiche derivanti dal ciclo produttivo dello Stabilimento come materiale idoneo alla formazione di rilevati stradali. Relazione tecnica Aprile ’88 a firma di C.Chines GeoStudio. Allegato alla Delibera di Consiglio Regionale Toscano n¡5067/89.

(7) Risposta ad interrogazione scritta del Consigliere Malanima n 61 del 22 /6/96 dove il dott. M Gomboli riporta la nota del Distretto Minerario di Grosseto prot.n 1799 del 9/10/96.

(8) Articolo de La Nazione in cronaca locale del 26/1/97.

(9) Interrogazioni in Consiglio Provinciale del 30/3/96 e del 15/6/96 e risposta del Presidente Gentili in Notiziario di Provincia di Grosseto Informa del 18/6/96, dove si afferma che, essendo i siti in attività produttiva, la Provincia non avrebbe competenza, smentendo il D.M. del 16/5/89, emanato in attuazione della Legge 441/87.

(10) Articolo de La Nazione del 2/12/96.

(11) Interrogazioni in Consiglio Regionale del 18/5/96 e in Consiglio provinciale del 7/11/96.

(12) Risposta dell’Assessore Regionale all’ambiente Del Lungo del 3/9/96 alla int orale 293.

(13) Risposta dell’Assessore Morandi del 28/10/97 in Provincia di Grosseto Informa.

(14) Relazione sul Bilancio di previsione 1997 del Gruppo di R.C in Consiglio Provinciale, 2/97.

(15) Sono disponibili foto di luoghi che la popolazione locale chiama comunemente “i deserti” e delle località dove l’ARPAT ha prelevato i campioni da analizzare.

(16) prof. Angelo Bianchi in Corso di Mineralogia e Geologia, Cedam 1967, pag.220: “Nell’alterazione delle piriti si forma anche acido solforico che attacca le rocce …Da questi fenomeni di alterazione di piriti e arsenopiriti hanno pure origine acque solfatiche, ferruginose ,arseniacali…”

(17) Istituto di Scienze Minerarie Università di Bologna- Studio scientifico applicativo sulle possibilità di utilizzare le ceneri di pirite nella miniera di Campiano, pag.13-15.

(18) Analisi del Dr. Dante Benucci del 24/6/96 su campione prelevato nella miniera di Campiano dal Comitato di Boccheggiano.

(19) Lettera del prof. Enzo Tiezzi, Direttore del Dipartimento di Scienze e Tecnologie chimiche e dei Biosistemi Università di Siena. Disposizioni del Comitato Interministeriale, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n 183 Serie generale dell’8/8/86.

(20) Distretto Minerario di Grosseto, lettera prot.1848 del 7/10/97 avente come oggetto: analisi chimiche ceneri di pirite, dove si rendono pubblici i dati elaborati nel ’90 dalla Usl di Piombino.

(21) Lettere dell’Ing. Mansi Direttore della N.Solmine del 12/11/84 all’Intendenza di Finanza e del 27/3/85 alla Regione Toscana e Provincia di Grosseto, dove si afferma che “…12.000 mc di materiale sterile ( in verità tossico e nocivo) è stato utilizzato per la sistemazione di strade e piazzali interni ed in parte, ceduto a terzi.” Provincia di Grosseto prot. n 11151 del 29/3/85.

(22) Nel trattato Harrison 1998, McGraw-Hill afferma: “L’esposizione cronica all’arsenico è associata anche ad un elevato rischio di cancro alla pelle e alla possibilità di cancro al polmone, fegato, vescica, rene e colon”. Lo IARC 1998 in Evidence for carcinogenicity to Humans riporta casi di malati di cancro per esposizione a pochi grammi/giorno di arsenico.

(23) Deliberazione di Giunta regionale n 4218 del 16/10/95 e Studio commissionato dal Commissario alla Geo-Consul –Accertamento preliminare delle condizioni di fattibilità geologica per i tre siti oggetto di indagine. Novembre 1995.

(24) Regione Toscana-Decreto Commissariale n 3 del 3/1/96-Studio- Esplicitazione degli elementi comparati di valutazione per la fattibilità preliminare di una discarica di servizio al sistema smaltimento rifiuti Marzo ’96.

(25) Lettere del Distretto Minerario prot. n 1904 del 21/11/95 e prot. n 414 del 3/3/98.

(26) Lettere del Distretto Minerario di Grosseto prot. n 1339 del 27/7/98 e prot.n 343 del 26/2/96.

(27) Lettere ARPAT prot.n 2229 del 19/3/96 e USL Area Grossetana prot. n 9/3 53077 del 10/12/93.

(28) Commissario Regionale- Nota ricognitiva e linee guida per il recupero ambientale …12 marzo 1996. A pag 3, il Commissario, elenca tra le cause di anomalia “assolutamente non riconducibili alla lavorazione industriale” la presenza di discariche di sterili e rifiuti delle lavorazioni metallugiche. (Sembra impossibile!).

(29) Regione Toscana. Decreto Commissariale n 14 del 15/3/96 che allega la lettera prot.n 9/96 della Geo-Consul del 28/2/96 quale relazione geognostica che escluderebbe “la presenza nella zona di significativi residui di lavorazione mellallurgica”.

(30) Regione toscana. Decreto Commissariale n 23 del16/5/96 con Particellare d’esproprio allegato, trasmesso e pubblicato in Comune di Manciano (vedi lettera della Segreteria del Comune di Manciano prot. n 11148 del 7/9/98), diverso da quello approvato con Deliberazione di Consiglio Provinciale n 542 del 15/5/96.

(31) Lettere dei Commissari Straordinari Bernardini e Ciani prot. n GC 45/96 del 1/7/96 e prot n 169 dell’11/8/98.

(32) Lettera dell’Assessore Regionale Del Lungo al Sindaco di Manciano prot. n 5/9734/9.10 del 24/4/96.

(33) Lettera del Commissario Straordinario L. Ciani prot. n 74 del 29/5/98 a vari Enti.

(34) Deliberazione del Consiglio provinciale n 181 del 29/9/98, dove la Giunta afferma che non era compito dell’Amministrazione provinciale controllare la realizzazione del Piano rifiuti, deliberato dalla stessa Provincia di Grosseto.

(35) Lettere del Segretario Generale dell’Amministrazione Provinciale prot. n 61380 del 27/11/98 e del Responsabile regionale bonifiche prot.n 104/49697/119 del 11/12/98.

(36) Lettera del Commissario Straordinario L.Ciani prot. n 279 del 27/11/98.

(37) Delibera di Giunta Regionale n 166 del 22/2/99 pag. 22 dell’allegato A.

(38) Intervento del 23/10/97 su Provincia Grosseto Informa dell’Assessore Daniele Morandi.

(39)Verbale della 2″ Commissione Consiliare Permanente del 16/12/97, dove i dirigenti dell’ARPAT confermano di conoscere la reale pericolosità delle ceneri di pirite e lettera di risposta del Sindaco di Scarlino all’Assessore Marco Caramelli del 10/2/98.

(40) Atto di permuta tra Comune di Scarlino e Campiano spa, art.1, approvato il 29/9/97.

(41) Articolo del 27/12/97 su La Nazione.

(42) Deliberazione di Giunta Regionale n 5067 del 12 /5/89 e analisi dell’USL 28 sulle ceneri di pirite.

(43) Articolo del 23/12/97 su La Nazione.

(44) Sia nella Relazione finale di Collaudo, prodotta ai sensi della Delibera G.R.T. n 5363/92 da Nuova Solmine spa il 30/12/95, pag.7 e sia nella Relazione ambientale finale e progetto di monitoraggio 1997-2007 prodotta nel giugno 1997 da Campiano spa, pag.7, si rimanda alle Relazioni annuali di collaudo 1998-1994, dove si fa riferimento alle metodologie usate nelle analisi (pag.16 della Relazione per l’anno 1989), che sono metodologie non valide.

(45) L’Eni aggira la L.915/82 con le seguenti proroghe ottenute dalla Giunta Regionale: Deliberazioni n 10818 del ’87, n 3380 del’88, n 11142 del ’89, n 6922 del’90, n 5363 del’92, dal’94 rimane senza autorizzazioni allo stoccaggio provvisorio.

(46) Verbale ARPAT del 30/1/98 prot. n 364.

(47) Decreto di Archiviazione degli atti del procedimento penale n 349/98 GIP, relativo alla Notizia di Reato n 98/508.

(48) Certificato di analisi del 25/9/98 e Lettera del Distretto Minerario di Grosseto prot. n 1956 del 21/10/97.

(49) Alla Deliberazione di Consiglio Provinciale n 158 del 16/9/98 e alldecisione della Giunta di incaricare un Comitato Scientifico a rispondere, fa seguito la verifica dell’inesistenza dell’incarico nel Verbale n 41 del Consiglio Provinciale del 7/4/99. Nessuno ha finora risposto ai quesiti formulati.

(50) Atti Parlamentari. Commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti. Resoconto Stenografico delle sedute del 10/3/99, 18/3/99 e del 17/6/99.

(51) Lettera dell’Assessore Regionale all’Ambiente E. Monarca prot. n 190 dell’8/6/92.

(52) Ambiente spa- Studio di caratterizzazione chimico fisica del suolo e delle acque sotterranee per l’esclusione dell’area dal piano- Relazione tecnica. Dic.’97 e Indagine Supplementare Giugno ’98. Prot.n 25764 della Provincia con annesse sezioni geologiche.

(53) L.R.29/93 e Appendice B della D.G.R.T.n 169/95.

(54) Verbale ARPAT acquisito dalla Provincia con prot. n 36968 del 6/7/98.

(55) La cartografia geochimica della Toscana meridionale- Criteri di realizzazione e rilevanza ambientale attraverso gli esempi di Hg, As, Sb, Pb e Cd- di. Protano, Riccobono e Sabatini dell’Ist. di Geochimica ambientale- Univ.di Siena.

(56) Ministero dell’Industria – Direzione generale delle Miniere- Ricerca mineraria di base Toscana Meridionale 3 Relazione conclusiva 1990.Relazioni e allegati in Toscana 2bis fogli 127 e 119. Gennaio 1985.

(57) Environmental Geology 32 September 1997-Heavy metal and arsenic distributions in sediments of the Elba- Argentario basin, southern Tuscany, Italy. L.Leoni e F.Sartori, Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Pisa.

(58) Verbale n11 del Consiglio provinciale del 19/1/99.

(59) Solmine spa Laboratorio Studi e ricerche. Analisi pellets in Bollettino n 80054/A del 17/3/80.

(60) Esposto della Coldiretti e Confcoltivatori del 6/3/90 prot. Usl di Massa Marittima n 3426 del 9/3/90. Stranamente con le analisi delle polveri depositate sui vegetali prelevati non verrà ricercato l’arsenico.

(61) Si sono raccolte le seguenti testimonianze nei vari poderi: pod. Vetricella dal sig.Cacialli Ernesto, pod..Casa Bruscolini dal sig. Vilmo Neri, pod. Casa Beccaccina dal sig. Giuseppe Bicocchi e moglie; pod. Castellina dal sig. Massimiliano Fronzaroli, pod.La Botte dal sig. Luigi Vecci; pod. Baracchi dal sig. Renzo Cesaretti.

(62) Delibera di Consiglio Provinciale n¡90 del 30/7/99 e Verbale di Giunta Regionale n¡15 del 6/9/99-Proposta di deliberazione al Consiglio n¡2112, vedi anche nota a pag. 1 dell’allegato A1 alla Delibera di Consiglio regionale del 21/12/99.

(63) Provincia di Grosseto. Determinazione Dirigenziale n1381/tr dell’8/11/99:

(64) Consulenza consegnata in Procura Circondariale di Grosseto l’11/8/95 e allegata agli atti del Procedimento n¡ 95/5162.

(65) Lettere ARPAT prot n 821 del 21/6/96, inviata anche alla Procura e n 2167 dell’ 8/6/98.

(66) Lettera aperta del dr Luigi Gatti al Consigliere Barocci dell’aprile ’98.

(67) Lettere a varie Amministrazioni del dr L.Gatti

(68) Studio sulla presenza di mercurio negli acquiferi profondi della pianura di Follonica, di R. Ferrara, CNR Istituto di Biofisica, Pisa e di R. Spandre, Dip. Scienze della Terra Università di Pisa. Novembre ’97.

Febbraio 2000