I danni prodotti a Fenice Capanne dalla Polyteckne

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Conferenza Stampa Ore 12,00 del 10 aprile 2003, CIRCOLO Arci, via U. Bassi, 62, Grosseto.

Tema: Le responsabilità dell’ENIrisorse nei danni prodotti a Fenice Capanne dalla POLYTECKNE

Lo stabilimento Polyteckne a Fenice Capanne

L’ENIrisorse nel ’96-’97 cerca di smaltire, previa lavorazione e trattamento, circa 100.000.(centomila) mc di batterie per auto frantumate (pari al peso di altrettante tonnellate) in diverse parti d’Italia, ma non ci riesce. Se quei rifiuti fossero stati smaltiti in termini di legge il costo sarebbe stato di oltre 60 miliardi di lire. I dirigenti di ENIrisorse metteranno in atto altre vie, illegittime, risparmiando alla fine oltre 40 miliardi (all.1). I vari tentativi legittimi di smaltimento operati da ENIrisorse nel ’96-’97 non vanno bene: negli inceneritori si produce troppa diossina; fondendoli a base temperature il piombo non si separa bene dalla plastica, che rimane impregnata di metalli solubili; lo smaltimento in discarica costa troppo all’ENI, perchè quei rifiuti rilasciano metalli tossici in concentrazione 10 volte superiore alle concentrazioni massime ammissibili (all.2), richiedendo le tipologie di discariche più sicure ( e richiedendo un costo di oltre 600 lire al kg). Così gli stock di batterie al piombo, vengono lasciati al dilavamento meteorico, oppure si cerca di smaltirli dopo lavorazioni non autorizzate e tendenti ad diluire le concentrazioni di metalli tossici, finendo sotto sequestro in quattro province d’Italia: a Gioia Tauro (CS), a Marcianise (CE), a Cervesina (PV) e a Paderno Dugnano (MI), dove c’e il quantitativo più consistente. In tutti questi siti si produce inquinamento e le analisi prodotte da Uffici pubblici e dalle varie Procure dimostrano che questo rifiuto è estremamente pericoloso (all.1). Già nell’89 la SAMIN spa, altra società ENI che recuperava le batterie esauste, poi ereditata da ENIrisorse, aveva cercato di stoccare ingenti quantitativi di batterie nelle miniere del grossetano (all.3), luoghi ideali per nascondere l’inquinamento che avrebbe prodotto il loro dilavamento (stesso progetto realizzato e andato in porto per le ceneri di pirite collocate sia a Scarlino, sia nella miniera di Campiano sul Merse). Infatti i rifiuti dell’industria minero-metallurgica avevano già prodotto inquinamento nel reticolo idrico e più facile sarebbe stato nascondere il dilavamento delle batterie.Le batterie di quegli anni finiscono nelle miniere di Portoscuso in Sardegna, producendo poco dopo un disastro ambientale (all.4). Dovettero trovare altre soluzioni. A Fenice Capanne era già noto da anni (certificato dal ’96) che le discariche minerarie erano causa di inquinamento del Fosso dei Noni per il rilascio di metalli tossici oltre le concentrazioni ammissibili per il Rame, il Piombo, lo Zinco, il Cadmio e presumibilmente per ENIrisorse era il posto ideale per collocarvi rifiuti altrettanto tossici per il rilascio degli stessi elementi. Sicuramente nessuno se ne sarebbe accorto se a Fenice Capanne fossero state adottate le stesse cautele applicate a Paderno Dugnano a tutela della salute dei lavoratori (all.4). I dirigenti di ENIrisorse promuovono nel ’97-’98 la realizzazione a Fenice Capanne di un’attività sostitutiva del lavoro in miniera (all.5.1 e 5.2), godendo di notevoli finanziamenti pubblici a fondo perduto, erogati dallo Stato per dare lavoro ad ex-minatori ENI, rimasti disoccupati. Nel frattempo un provvidenziale Decreto Ministeriale di Ronchi (DM 5.2.98) tenta nel ’98 di far passare il mix di ebanite, proveniente da recupero del piombo dagli accumulatori esausti, da rifiuto tossico e nocivo in speciale-recuperabile (codice 160199), smaltibile con procedure semplificate, in pratica senza passare attraverso il controllo pubblico, ma la Procura di Monza resiste e blocca anche questo tentativo, dimostrando che quelle plastiche sono sempre impregnate da metalli tossici oltre i limiti di legge (all.4). Nel frattempo il dirigente di ENIrisorse, il dott. CIANCIO, lo stesso che a Paderno Dugnano cerca di ottenere il dissequestro delle batterie dalla Procura di Monza in base al D.M 5.2.98 (all.6), vende ad una società srl poco conosciuta (la POLYTECKNE) terreni di miniera da bonificare di proprietà della Campiano Mineraria (ENI), facendoli passare, mentendo, per terreni privi di vincoli minerari (all.5.1 e 5.2). Un notaio locale certifica anch’esso la mancanza di vincoli minerari. Si costruisce così una piccola fabbrica, occupando con la costruzione anche terreni demaniali indisponibili, in concessione temporanea (il fosso dei Noni temporaneamente tombato). La fabbrica sulla carta doveva riciclare la plastica, ma in realtà, nei programmi degli imprenditori, è documentato dal ’98 che tale fabbrica doveva smaltire le batterie al piombo di ENIrirsorse (all.7). Sotto le indicazioni dello stesso dirigente di ENIrisorse, dott. Ciancio (all.8), la Polyteckne chiede alla Provincia di Grosseto di poter lavorare anche plastiche non pericolose provenienti dalle batterie( codice 160199). In realtà i dirigenti della POLYTECKNE sono consapevoli della pericolosità degli stoccaggi di tali rifiuti (all.7). Ma la Procura di Monza e la Regione Lombardia non consentono che i rifiuti siano trasferiti a Fenice Capanne in quanto le autorizzazioni non specificano che l’impianto è idoneo al trattamento di rifiuti pericolosi (all.9) e impongono all’ENI costi notevoli per trasferire e smaltire correttamente le batterie al piombo in Germania ed Austria, presso inceneritori ad altissime temperature. Ciò costa troppo. I dirigenti di ENIrisorse, ben consapevoli che l’inquinamento già presente a Fenice Capanne è del tutto simile a quello che è stato prodotto dalle batterie al piombo in altre parti d’Italia , insistono per la destinazione di Fenice Capanne. E’ così che la fabbrica di Fenice Capanne ottiene dai dirigenti dell’Amm.ne Provinciale di Grosseto una seconda autorizzazione, che si dimostra disastrosa per la salute dei lavoratori e dell’ambiente, ma apparentemente la fabbrica è in regola e la Procura di Monza concede il dissequestro e il trasferimento delle batterie frantumate in Maremma (all.9): dalle carte presentate a Monza si deduce che esisteva a Massa Marittima una fabbrica d’avanguardia, unica in Europa che poteva recuperare le batterie al piombo a poco più di 200 lire al KG, anziché alle 600 lire richieste altrove. E’ il 2000. Dopo due anni, i quarantacinque operai della Polyteckne, che lavorano senza le dovute protezioni, ma con le autorizzazioni delle locali autorità sanitarie e ambientali (USL e ARPAT), previste dalla legislazione per i nuovi impianti produttivi, fanno registrare pericolose concentrazioni di piombo nel sangue, alcuni vengono ricoverati, la fabbrica e lo stoccaggio delle batterie vengono sequestrate, anche se inquinano un fiume già avvelenato da micidiali rifiuti di miniera, abbandonati da anni. Il resto è cronaca recente, ma i dati sulla pericolosità delle polveri diffuse dagli stoccaggi realizzati a cielo aperto sono pericolosi anche per la salute degli abitanti residenti nelle vicinanze (all.10), che giustamente si organizzano in Comitato. I lavoratori rischiano di trovarsi di nuovo senza lavoro e poche settimane fa leggiamo sui giornali che la Forestale ha sequestrato due camion, in uscita dalla fabbrica e che cercavano di portare in una località della Puglia le batterie al piombo. Temiamo che la storia si ripeta. Rifondazione Comunista mette a disposizione della Stampa, dei Sindacati, dei Comitati di cittadini, degli Amministratori comunali, provinciali e regionali i documenti raccolti in varie parti d’Italia, che dimostrano le responsabilità di ENIrisorse e chiede a ciascuno di fare il proprio dovere al fine di aprire una vertenza per recuperare i finanziamenti statali erogati per dare lavoro agli ex minatori e al fine di imporre finalmente un sicuro smaltimento ai rifiuti trasferiti in Maremma.

Barocci Roberto
Responsabile per le politiche ambientali
Fed. del PRC di Grosseto

Maremma avvelenata secondo Roberto Caccuri

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Nel 2001 ho accompagnato il fotoreporter Roberto Caccuri della agenzia di stampa Contrasto in un tour dei luoghi di cui ho scritto in Arsenico e poi in  Maremma avvelenata, quello che segue è lo sguardo di questo fotografo sulla devastazione ambientale di un intero territorio.

Per motivi di diritti le foto sono molto piccole e gli originali sono disponibili sul sito della Contrasto.