Le bugie della Provincia sulle diossine a Scarlino

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L’Arpat aveva prelevato campioni a Scarlino il 15 maggio scorso e già segnalato un superamento di 5 volte i limiti di legge sulle diossine.

Le bugie della Provincia, comunicate alla pubblica opinione dalla Stampa locale, come sempre senza alcuna verifica (la società privata avrebbe segnalato di sua iniziativa -!!!- con un suo accertamento il superamento dei limiti di legge delle diossine) sono smentite dalla ricostruzione dei fatti pubblicati da Arpat.

Verificate (!!!) sul sito dell’Arpat:
Inceneritore di Scarlino (GR): superamento limiti per diossine.

Pertanto, visti i precedenti documentati, poichè l’Arpat compie questo accertamento due volte all’anno, i Sindaci di Scarlino e Follonica dovrebbero ottenere dalla Provincia una prescrizione che consenta il monitoraggio settimanale o giornaliero delle diossine compiuto da soggetto esterno.

Per chi non lo avesse letto/pubblicato, ecco il comunicato stampa inoltrato ieri, dove sono documentati i precedenti valori fuori norma.

Comunicato stampa in risposta alla CNA di Grosseto.

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Quanto scrive la CNA di Grosseto sulle sentenze del TAR e del Consiglio di Stato non può passare inosservato. Si sostiene che l’inceneritore di Scarlino non avrebbe mai superato le emissioni consentite e che pertanto tutto il resto, leggi e sentenze comprese non contano. La CNA chiede, imitando l’ex Presidente del Consiglio, che la Politica ribalti le sentenze e che le leggi, a tutela della salute pubblica, non siano rispettate perché metterebbero in pericolo posti di lavoro. Con questo metro, nel Sud Italia, si giustificano le azioni illegali di mafia e camorra pur di garantire l’occupazione generata nella gestione dei rifiuti tossici interrati nel casertano o nel siracusano.
Ciò che sostiene CNA, oltre a non corrispondere ai dati ufficiali (e lo vedremo), è simile all’arrogante pretesa di alcuni automobilisti che, alla guida di auto in regola con i propri gas di scarico, pretendono di circolare nelle città, anche quando ci siano ordinanze di divieto di circolazione, a causa del superamento dei limiti di legge per inquinanti mortali alla vita dei cittadini. E’ vero che le cause di quell’inquinamento nelle città sono molte e diverse, e che quel singolo arrogante automobilista ha solo una piccola parte di responsabilità, ma quando l’ambiente non è in grado di smaltire le quantità assolute di veleni versati, nessuno ha il diritto di aggiungerne altri.
Questa è la situazione oggi presente nella piana di Scarlino e Follonica, dove le concentrazioni di molte sostanze cancerogene sono su terreni, sedimenti ed acque molte volte superiori ai limiti di legge.
Questo dicono i dati ufficiali, che CNA omette di citare.
Questo è il motivo per cui la Legge ha imposto di avviare le Bonifiche e vietato di poter aggiungere altre dosi di veleno, anche se singolarmente a norma.
Questo è ciò che inchioda alle loro responsabilità il Sindaco di Scarlino, il Presidente della Provincia e della Regione Toscana, che prima hanno consentito l’inquinamento e omesso di realizzare efficaci bonifiche (vedi l’adesione alla teoria dimostratasi falsa della naturalità dell’Arsenico), e poi vorrebbero autorizzare l’emissione di altri inquinanti tossici.
Altro che semplici vizi di forma indicati dalle sentenze! Sentenze di cui il CNA ignora, o finge di ignorare, i motivi ben evidenziati e circostanziati.
Ignoranza manifesta anche sull’altro aspetto, quello del superamento dei limiti nelle emissioni. Vorremmo ricordare a CNA, e ai cittadini, che i controlli sono eseguiti dalla stessa Scarlino Energia, oppure su preavviso da parte dell’Arpat, che né diossine, né furani, né nano-particelle sono monitorate in continuo. Già nel 2006, in fase d’incenerimento di biomasse, la Scarlino Energia aveva documentato di scaricare in mare attraverso il Canale Solmine, nel rispetto delle singole concentrazioni limite, 29.6 Kg/anno di Arsenico. Ben oltre i valori soglia, fissati nello stesso documento, a 5 kg/anno. Quindi, accanto alla concentrazione singola, come per la singola automobile, si deve verificare se l’ambiente è capace di smaltire le quantità assolute e, poiché nel canale Solmine viene versata una quantità enorme di acqua usata per l’abbattimento polveri e varie depurazioni, pari a 19 miliardi di litri/anno, le concentrazioni singole possono essere anche a norma, ma la legge pretende di verificare se le quantità assolute sono sostenibili e smaltibili! Ed è per questo che l’Arpat registra l’accumulo fuori norma di molti cancerogeni nei sedimenti.
Stanno avvelenando l’ambiente, la nostra salute e la nostra economia ed anche noi vorremmo perciò “ringraziare” il CNA per la (in)sensibilità dimostrata verso tutti noi.

Emblema di senso civico e di servizio pubblico

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Il quotidiano on line 0564news del 20-01-2012 ha realizzato un articolo sulla conferenza stampa di giovedì 19 gennaio al Casello Idraulico di Follonica dedicata al caso dell’inceneritore di Scarlino.

“Roberto Barocci emblema di senso civico e di servizio pubblico che ispira anche il Comitato per il No all’inceneritore di Scarlino e che sentiamo di ringraziare”. Queste le parole dette dal presidente Mario Monciatti, approvate a vista dall’avvocato Franco Zuccaro, al termine dell’intervento del professore grossetano durante la conferenza di giovedì 19 gennaio al Casello Idraulico di Follonica.

Una conferenza congiunta Comitato del No, Forum Ambientalista Grosseto e ReteambienteGr durante la quale sono state discusse le sentenze del Tar Toscano e del Consiglio di Stato e presentati i documenti relativi alla disastrosa, pericolosissima e intollerabile situazione intorno all’inceneritore scarlinese.

In questo primo servizio 0566news e 0564 news danno conto dell’intervento di Barocci (che ci è stato fornito per scritto) durante la riunione di Follonica alla quale erano presenti, tra gli altri, anche De Luca del PD, Luigi Costagli del PDL, Alberto Aloisi del PSI,  Paolo Buti dell’Arci, Renzo Fedi della Col diretti.

L’articolo prosegue con il testo già reso pubblico qui.

Ladri di salute e di lavoro

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Sia in occasione della prima autorizzazione in sede di VIA, rilasciata dalla Giunta Scheggi nel 2008 a Scarlino Energia Srl, sia poi in occasione del riesame farsa e delle autorizzazioni rilasciate dalla Giunta Marras nel 2010, presentammo alcune Osservazioni (diap.2-3-4-5-6) per conto del Comitato per il No e del Forum Ambientalista in merito alla violazione di legge per gli scarichi di metalli tossici nel Canale Solmine, già inquinato e inserito nei Piani regionali e provinciali di bonifica. La legge vieta che si possa scaricare ulteriori sostanze pericolose, anche se da impianti a norma, in un sito oggetto di bonifica (diap.9).

La risposta di Scarlino Energia srl, che per legge avrebbe dovuto rispondere in modo adeguato alle Osservazioni presentate, è stata di una arroganza sconcertante. Infatti scrisse che gli scarichi dell’impianto “non sarebbero attinenti al progetto in esame”(diap,7).

La Provincia di Grosseto, violando la legge (!), non chiese spiegazioni, finse di non sapere (dirigenti al tempo erano l’arch. Gracili e poi il dott. Sammurri) e prescrisse il monitoraggio a posteriori, anziché preventivo alle autorizzazioni per verificare la sostenibilità del nuovo impatto. Il TAR toscano ci ha dato ragione e ha censurato l’operato illegittimo della Provincia di Grosseto.

Il risultato del monitoraggio a posteriori, realizzato nell’ottobre 2010 da Arpat sui sedimenti del Canale Solmine, fa registrare molti superamenti dei limiti di legge (diap.8). Per i metalli tossici e cancerogeni il numero di volte superiore alla legge è rispettivamente: 25 per Arsenico; 10 per Piombo; 7,3 per Zinco; 2 per Cadmio; 1,9 per Mercurio; 1,35 per Rame 1,3 per Cromo.

Nonostante che Comuni, Provincia e Regione Toscana abbiano ricevuto questi dati, la legalità sembra non essere più un valore perseguito, neppure quando si tratta di intervenire per eliminare dall’ambiente potenti cancerogeni. Infatti le Conclusioni scritte e inoltrate dall’Arpat di Grosseto non lasciano dubbi, parlando di seria contaminazione (diap.10).

Il monitoraggio viene ripetuto nel 2011 e la novità, che viene riconfermata, è la presenza significativa anche di cancerogeni organici, quali DIOSSINE, PCB ed IPA, oltre la presenza fuori norma dei metalli tossici visti sopra (diap.11).

Oltre alla bonifica, finora omessa, s’impone anche l’eliminazione degli ulteriori scarichi inquinanti, ma qui le opinioni sono nettamente divergenti.

Mentre il prof. Paolo Rabitti spiega nelle 23 pagine della sua Relazione al Consiglio di Stato che le Diossine possono essere di diversa origine, ma che la prevalenza di una particolare specie di Diossina, misurata e trovata a valle dell’inceneritore, può essere stata prodotta solo bruciando rifiuti solidi urbani (diap.12), l’Arpat non compie questa stessa valutazione, rimandando a indefinite emissioni storiche (questa volta non c’entrano gli etruschi…) indicando però la provenienza dall’impianto di combustione delle piriti (diap.13).

Questa volta l’Arpat, come fece negli anni ’90 per l’eccesso di Arsenico trovato nella piana di Scarlino, non può invocare la naturalità, poi smentita da tutti. Ma le fonti bibliografiche citate dal prof. Rabitti a conferma dell’origine da rifiuti urbani e la vaghezza delle spiegazioni dell’Arpat hanno convinto il Consiglio di Stato, che di fatto ha definito “ non inequivoche” le tesi Arpat e “plausibili” quelle sostenute da Rabitti.

Ma un’altra pagina sconcertante, da chiarire in un secondo tempo, è data dalle numerose e clamorose contraddizioni di ARPAT. Ne vogliamo solo anticipare alcune: il rilievo che il prof. Rabitti muove all’operato dell’Arpat in merito ai prelievi e misurazioni degli idrocarburi (IPA), che misurati in uscita dall’impianto di incenerimento, prima che subiscano la diluizione provenienti dalle vasche di raccolta delle acque piovane (diap.14), fanno registrare gli stessi valori, al limite di legge, di quelli registrati dopo la sicura diluizione subita. Poi il fatto che l’ARPAT di Grosseto , contraddicendo le stesse direttive nazionali di APAT, sostenga che i valori limiti di legge per la bonifica dei terreni non costituiscono obbligo di legge per i sedimenti del Canale Solmine.

Alla prossima puntata…

Roberto Barocci,
Forum Ambientalista GR, ReteambienteGr

Quel giorno intorno ad un tavolo

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Poiché i nomi e i cognomi delle persone coinvolte non mi sembrano necessari, ho voluto evitare di scriverli. Naturalmente ogni frase ha una documentazione puntuale e la documentazione più scottante (ad esempio il Verbale citato, le frasi del PM…) , è stata pubblicata sul mio sito in questa pagina, a seguito delle minacce fatte da ARPAT alla conduttrice di REPORT Milena Gabbanelli.

Dopo la pubblicazione di tali documenti le minacce non hanno avuto seguito.

Questo articolo disponibile in versione .pdf

La Valutazione di Impatto Ambientale: uno strumento di trasparenza e di partecipazione svuotato dalle amministrazioni pubbliche toscane

Quel giorno intorno ad un tavolo dell’Ufficio Ambiente, settore rifiuti della Regione Toscana, si sono ritrovati i componenti del Comitato Tecnico Regionale, convocati per esprimere un parere all’Assessore all’Ambiente e alla Giunta Regionale. Tale Comitato era composto da tecnici apparentemente autorevoli, sia docenti universitari di geologia, di geochimica ambientale, sia responsabili di vari Uffici pubblici, preposti alla salvaguardia della salute umana e dell’ambiente. Alcuni di loro ricoprono oggi posti apicali in seno alla amministrazione della Regione Toscana in materia di rifiuti.

Il Comitato era stato riunito intorno a quel tavolo per esprimere un parere necessario (art.10 della L.R. 65/84), in merito ad una richiesta inquietante presentata dalla Soc. Nuova Solmine Spa, del gruppo ENI, la quale chiedeva alla Regione Toscana di poter utilizzare come materia prima seconda, cioè riusabile per vari scopi, le ceneri di pirite, rifiuto della produzione di acido solforico dello stabilimento del Casone di Scarlino. I membri di tale Comitato Tecnico erano sicuramente in imbarazzo, perché da anni l’ENI aveva lasciato, stoccate a piè di fabbrica, oltre un milione e mezzo di tonnellate di ceneri di pirite, che erano state già classificate come rifiuto tossico e nocivo. Dai forni a letto fluido in cui si fondevano le piriti ferrose, ma anche le arseno piriti, si aveva, in uscita, una cenere in cui si concentravano tutti i metalli e metalloidi presenti nei minerali in concentrazioni molto più modeste. Quelle ceneri hanno un contenuto pericoloso di Arsenico, che è un potente cancerogeno, oltre ad essere tossico e i terreni, su cui sono stati accumulati quei rifiuti, sono soggetti a subsidenza, essendo di recente bonifica per colmata e da pochi decenni strappati al padule di Scarlino.

Come poter riutilizzare e distribuire nell’ambiente un rifiuto tossico e nocivo per la salute umana? Come poterlo fare quando la legge lo vieta espressamente?

Agli atti del procedimento penale n° 01/3325, aperto nel 2001 e conservato presso la Procura della Repubblica di Grosseto, è inclusa una copia manoscritta degli appunti, relativi a questa riunione ufficiale del Comitato Tecnico Regionale, in cui una verbalizzante, riporta i pareri dei vari componenti e delinea una discussione difficile, a momenti anche conflittuale.

La Regione Toscana, negli anni precedenti, aveva già affrontato tale problema con ben due procedimenti di Valutazione di Impatto Ambientale ben fatti. Il primo era stato realizzato per la caratterizzazione delle ceneri e per l’analisi dell’inquinamento in atto; il secondo affrontava la scelta di una discarica in zona, capace di ricevere in sicurezza tali rifiuti. Infatti, quella massa dei rifiuti, alta 15 metri sul piano di campagna (detta dai locali “il panettone”) era sprofondata per oltre 5 metri e giaceva a contatto con la prima falda idrica, avvelenando anche questa, oltre che dilavare e avvelenare il terreni circostanti.

Quello di Scarlino, con la precedente storia di rifiuti scaricati in mare che aveva prodotto anche un piccolo conflitto militare con i pescatori Corsi, che sparavano sulle navi italiane, era uno dei più gravi e conosciuti problemi di inquinamento ambientale presenti in Toscana e quel Comitato Tecnico, informato dei precedenti studi sull’inquinamento delle falde idriche, si era già riunito più volte, senza arrivare ad una decisione condivisa. Inoltre alcuni dei componenti del Comitato erano tra gli estensori degli stessi Studi di Impatto Ambientale su tali ceneri. Questa volta però presiedeva il Comitato Tecnico l’Assessore all’Ambiente, che infine imporrà una decisione condivisa da tutti.

Allegata alla richiesta della soc. Eni, c’è uno studio di due professori universitari di Pisa. Uno di questi è presente ai lavori del Comitato assieme ad un professionista, entrambi incaricati da ENI a sostenere, nonostante le conclusioni delle precedenti Valutazioni di Impatto Ambientali (VIA), la possibilità che le ceneri di pirite possano essere utilizzate per la produzione di cementi, per le ripiene dei vuoti in miniera e per la realizzazione dei rilevati stradali, in particolare, si proponeva di collocarle sotto il manto di asfalto della superstrada Aurelia, in costruzione in quegli anni ’90 tra Livorno e Grosseto. Si, avete letto bene…

Alle ripetute richieste di alcuni membri del Comitato su come poter autorizzare legalmente l’uso di tale rifiuto, considerato un rifiuto tossico e nocivo dalla legge nazionale, risponde, sempre secondo gli appunti scritti dalla verbalizzante, l’Assessore all’Ambiente della Regione Toscana. Egli avrebbe sostenuto che, quando la Giunta regionale classificherà tale rifiuto come materia prima/seconda, automaticamente verrà annullata la qualifica di rifiuto tossico nocivo voluta dalla legge nazionale (!). Ma questa prepotente e arrogante affermazione dell’Assessore, confermata anche dal contenuto delle successive risposte registrate, non riesce a convincere tutti i presenti. C’è chi chiede come si comporteranno tali ceneri a contatto dell’acqua, che per infiltrazione attraverserà il rilevato stradale; c’è chi chiede cosa potrà succedere quando, nella possibile ipotesi di realizzare una variante del tracciato, quel materiale ritornerà ad essere riposizionato in superficie. Ancora, c’è chi chiede cosa potrà succedere in futuro visto che l’Aurelia attraversa aree a forte rischio idraulico con possibili alluvioni. L’assessore all’Ambiente risponde che si fa garante dei futuri controlli su tale discarica. Ma concepire una discarica “lineare”, lunga molte decine di chilometri, che fa aumentare tutti i rischi di inquinamento, è difficile da accettare e, nonostante la prepotenza, l’Assessore non riesce a convincere tutti i presenti, alcuni dei quali chiedono di porre delle prescrizioni puntuali: le due precedenti Valutazioni di Impatto Ambientale, in questo modo, non verrebbero sconfessate e sarebbero fatte salve dalle future prescrizioni, che la Giunta regionale si impegna a decretare e a far rispettare.

E’ a questo punto che in quel tavolo prende la parola il responsabile provinciale dell’Ufficio pubblico, invitato espressamente per l’occasione ai lavori di quel Comitato, con il mandato di sovrintendere alla salute dei cittadini e dell’ambiente. In Regione Toscana vogliono apparire democratici e tale dirigente conosce meglio di altri il territorio. Egli suggerisce, a questo punto, di collocare tali ceneri non nella discarica autorizzata, già individuata in sede di VIA, ma suggerisce al Comitato di collocare le ceneri “solamente” nella parte di superstrada che attraversa quella parte del territorio provinciale in cui si è già registrato l’inquinamento da arsenico. L’ENI potrà così risparmiare i costi del collocamento nella discarica già individuata, che sarebbero molto elevati, visto che va realizzato un adeguato isolamento della discarica stessa.

“Piuttosto che niente è meglio piuttosto”, si dice in Maremma e l’Eni e l’Assessore vanno accontentati…

Tutti gli interventi in quella riunione del Comitato si sono incentrati, stante quegli appunti, intorno al tema che tali rifiuti erano comunque tossici e nocivi e che, quindi, le prescrizioni dovessero rammentare tale caratterizzazione. Ma tale qualifica, che è menzionata anche nel verbale definitivo, scompare dalla successiva delibera della Giunta regionale che autorizza l’uso di tali rifiuti. Sta di fatto che una parte di tali rifiuti, anziché finire in discariche a norma di legge, isolate e impermeabili alle acque, ma costose per l’ENI, finirono, con autorizzazione regionale, in varie parti del territorio e anche nella miniera di Campiano, avvelenando il Merse, che scorre sulla parte meridionale della provincia di Siena.

Scrive nel 2003 il magistrato della Procura di Grosseto che ordinò il sequestro di quei verbali nel palazzo della Regione a Firenze: “L’inadeguatezza dell’operato delle predette pubbliche amministrazioni fa legittimamente sorgere sospetto di collusioni e quindi di abusi commessi per favorire la realizzazione dello scellerato progetto.”

Ma, nonostante lo “scellerato progetto”, tutto rimane come se nulla fosse stato accertato, l’inquinamento nel frattempo si estende anche nelle falde idriche più profonde; nei sedimenti marini l’Arpat trova elevate concentrazioni di Arsenico, i molluschi prelevati sulla costa sono immangiabili, diversi pozzi artesiani vengono sigillati con Ordinanze sindacali, perché inquinati.

Al danno si aggiunge la beffa: i forni a letto fluido, che fondevano prima le piriti, non più utili all’ENI per estrarre lo zolfo, vengono nel 2007 ceduti ad una delle Cooperative emiliane, la UNIECO e oggi inceneriscono i rifiuti, grazie ad una Valutazione di Impatto Ambientale positiva all’esercizio dell’ impianto come inceneritore di rifiuti, rilasciata nel 2009.

Le ceneri di pirite sono ancora oggi in gran parte collocate a piè di fabbrica (nonostante le omissioni della Regione Toscana, l ‘ENI non ce l’ha fatta ad eliminare il milione e mezzo di tonnellate di ceneri accumulate in un ventennio di attività), il tutto sempre nel sostanziale non rispetto dalla legislazione sulle bonifiche, del divieto di costituire stoccaggi provvisori di rifiuti, ecc. ecc.

Le modalità con cui la Regione Toscana prima (nel decidere dove collocare le ceneri di pirite) e la Provincia di Grosseto oggi (nell’autorizzazione ad incenerire rifiuti nei vecchi forni di fusione delle piriti) hanno usato la VIA meritano un serio approfondimento per consentire una chiara riflessione politica. Infatti queste amministrazioni pubbliche, violentando uno strumento prezioso, di trasparenza, di partecipazione democratica e garantista, qual è la VIA, svelano una loro collocazione etico/politica sconosciuta ad una larga parte della cittadinanza.

La legislazione vigente in materia di VIA (L.R. n.79/98), chiede esplicitamente che con lo Studio di impatto Ambientale il soggetto obbligato debba produrre: “La descrizione delle condizioni iniziali dell’ambiente…La descrizione delle componenti dell’ambiente soggette a impatto ambientale…con particolare riferimento…al suolo e sottosuolo…e all’integrazione tra i vari fattori;… La descrizione dei probabili effetti rilevanti…dovuti all’azione cumulativa dei vari fattori…”

Questo perché, come la legge nazionale e quella comunitaria di riferimento chiariscono bene, l’oggetto della valutazione non è un impianto a sé stante. Tale Studio, infatti, è rivolto alla verifica della capacità dell’ambiente a sostenere, nei limiti stabiliti dalla legge, ulteriori emissioni o carichi ambientali previsti con l’introduzione in quell’ambiente di un nuovo impianto.

La piana di Scarlino, e il sito in cui è collocato l’impianto di incenerimento oggetto della recente VIA, come detto sopra, sono pesantemente inquinati per la presenza di Arsenico e di altri metalli tossici, ben oltre gli standard previsti dalla legislazione comunitaria ed italiana. Ciò è certificato dall’inserimento del sito nei Piani regionali e provinciali di Bonifica, sulla base di studi qualificati.

Questi studi ufficiali testimoniano una gravissima condizione del sito, in particolare segnalando:

1. la presenza di depositi residui delle lavorazioni industriali distribuiti su tutto il territorio sia all’interno che all’esterno dell’area occupata dagli impianti, ben oltre la perimetrazione dei siti inquinati individuati dal Piano regionale e provinciale delle bonifiche. Tali rifiuti permangono tuttora sul terreno e contribuiscono costantemente al peggioramento della situazione in atto. Le bonifiche, avviate solamente su alcuni siti, sono parziali come testimonia la stessa ARPAT e a tutt’oggi non completate, ma sopratutto assolutamente non definitive secondo quanto previsto dalle legislazioni vigenti, la 152/06 e la 471/99;

2. la presenza di inquinamento nelle prime due falde superficiali per l’alterazione, dissoluzione e messa in circolo di Arsenico, proveniente dai depositi di rifiuti sopra citati. La prima falda, con concentrazione in Arsenico molte centinaia di volte superiore ai limiti di legge, nella stagione umida viene a contatto con la superficie dei terreni agricoli e li rende estremamente pericolosi. Tali falde non sono state mai esattamente delimitate, correttamente circoscritte e bonificate in nessuno dei vari progetti “definitivi” di bonifica fino ad ora approvati, che sono stati limitati alla bonifica delle superficie interne alle varie proprietà;

3. la presenza di un reticolo idrografico di superficie che nella stagione piovosa distribuisce l’Arsenico, e gli altri metalli pesanti, su tutta l’area della Piana di Scarlino sino al mare, ove già sono documentati da Arpat inquinamenti da Arsenico sulle sabbie. Come detto sopra, alcuni pozzi artesiani già sono stati chiusi, in punti assai più lontani dai siti individuati come inquinati dal Piano Regionale, per la presenza elevatissima di Arsenico.

Alle varie Osservazioni, presentate nella fase di confronto democratico e partecipazione del pubblico al procedimento di VIA, elaborate sul punto in questione dal Comune di Follonica, dal Comune di Scarlino e da Associazioni e Comitati ambientalisti, circa la mancanza, nello Studio di Impatto Ambientale , sia della definizione dello stato iniziale del sito che dell’azione cumulativa dei vari fattori, la società proponente l’impianto risponde:

  • al Comune di Scarlino ,che l’analisi delle condizioni iniziali: “non è materia da SIA del termovalorizzatore…” e che “la legge non lo avrebbe richiesto” (!!), confondendo strumentalmente la caratterizzazione del sito oggetto dello Studio di Impatto Aambientale (SIA) con “l’onere di procedere alla valutazione che coinvolgano altre attività industriali”
  • alle Associazioni ambientaliste, che tali Osservazioni non meritano una risposta “…in quanto non attinenti al progetto in oggetto di esame, ma relative a problematiche di altro genere che seguono un percorso a sé stante nelle sedi dovute (procedura di bonifica in corso)”!! .

Ciò nonostante, la Provincia, concede la VIA positiva, omettendo di esigere tale valutazione prescritta dalla legge, rimandando e delegando, con le proprie prescrizioni, la valutazione dell’inquinamento in atto ad altro soggetto e a tempi futuri, cioè al Comune di Scarlino, a cui competono le procedure di bonifica in corso. Ma, come visto sopra, la Provincia e il Comune hanno approvato progetti di bonifica con modalità molto parziali, incomplete, e comunque non esaustive, come sostiene anche l’ARPAT, in quanto tali progetti risultano privi della caratterizzazione e della bonifica delle falde e dell’identificazione di tutte le fonti inquinanti.

Il colmo degli abusi, compiuti in sede di valutazione positiva di quest’ultimo Studio di Impatto Ambientale, sta nell’aver accettato la tesi della società proponente l’inceneritore di rifiuti, secondo cui gli scarichi liquidi dell’impianto di trattamento fanghi, provenienti dal lavaggio delle ceneri e dei fumi prodotti nella combustione dei rifiuti, pur contenenti Arsenico e metalli tossici in discrete quantità, non presenterebbero alcun impatto solo perché per lo scarico si utilizza una conduttura impermeabile (!), senza curarsi dove lo scarico viene riversato, cioè nel canale che riporta in mare le acque di raffreddamento dell’impianto.

“Piove sul bagnato !”.

La popolazione locale, nonostante la complessità della vicenda, esprime un vasto dissenso e una forte mobilitazione contro i decisori politici e il nuovo presidente della Provincia di Grosseto, quello attuale, è costretto a riaprire la fase di contraddittorio pubblico sulla VIA e nomina una Commissione di Inchiesta pubblica, incaricata del riesame della valutazione precedente. Ma, nonostante il parere conclusivo della Commissione di Inchiesta Pubblica, (parere peraltro espresso all’unanimità dai 5 membri incaricati), con cui si raccomanda la revoca in autotutela della Determinazione Dirigenziale che esprimeva parere favorevole, la nuova amministrazione conferma la valutazione positiva.

Oggi il Comune di Follonica, amministrato dalle stesse forze politiche che governano la Provincia di Grosseto e la Regione Toscana è costretto a ricorrere al TAR, a sostegno dei ricorsi giudiziari promossi dal Comitato di cittadini e da tutte le Associazioni Ambientaliste (Legambiente esclusa), scontrandosi con l’attuale assessore regionale all’Ambiente, che difende in maniera arrogante le scelte fatte.

La domanda è: il berlusconismo è nato ad Arcore, oppure in Toscana era già di casa?

Roberto Barocci,
Coordinamento dei Comitati e Associazioni ambientaliste della provincia di Grosseto Forum Ambientalista