Sulla rivista setimanale CARTA N°4 del 30.01.2004 un inchiesta giornalistica e una intervista sulla maremma dei veleni.
I maiali della Maremma [di Emanuele Profumi]
Chi sporca, chi non vede [intervista a Roberto Barocci]
Tra l’86 e l’88 , la ”Nuova Solmine” (la più grande industria di acido solforico d’Italia, dell’Eni) e la Regione Toscana permettono che si diffondano, come materiale di copertura di alcune discariche presenti lungo la costa, enormi quantità di ceneri di pirite prodotte dagli impianti industriali. L’Eni definisce queste ceneri come ”materiale sterile”, e la Regione Toscana, che già le aveva concesso autorizzazioni per depositarlo sulla palude demaniale di Scarlino (sito dell’industria Eni in provincia di Gorsseto) ci crede. L’anno dopo la Usl di Grosseto segnala l’uso dannoso delle ceneri di pirite, ma l’Eni controbatte che in realtà questi rifiuti sono ”materiale riutilizzabile” e ha l’autorizzazione per diffonderle nel territorio (per rivestimenti stradali, ripiena di miniere ed altro). Così milioni di tonnellate di rifiuti vengono disperse nella campagna circostante. Settanta mila tonnellate finiscono dentro la miniera di Campiano (sempre gestita dalla ”Nuova Solmine”), vicino alla provincia di Siena, nonostante uno studio preventivo di Valutazione di Impatto Ambientale l’avesse ritenuta inadeguata a contenere rifiuti tossico-nocivi. Oggi l’Arpat (Agenzia regionale per l’ambiente e il territorio della Toscana) ha accertato l’inquinamento di importanti falde idriche di superficie nel tratto che va da Scarlino a Follonica (sulla costa) e dei pozzi vicini all’area industriale. Inoltre, sempre a Follonica, sono stati chiusi alcuni pozzi di acqua potabile per la presenza di mercurio. Anche se ancora non si è stabilito se il mercurio è presente per motivi naturali o no, sono 4 anni che nessuno beve più acqua del rubinetto per paura della presenza di metalli pesanti. Ma la storia non finisce qui. Con la fine delle attività estrattive (’94), ”la Mineraria Campiano Spa” (sempre del gruppo Eni), a cui era stata affidata la concessione per la miniera, chiude senza le dovute precauzioni la miniera piena di ceneri di pirite e di fanghi residuati. Questo nonostante l’opposizione di un comitato di minatori, e uno studio della Usl di Piombino (’93) che aveva previsto il possibile inquinamento del vicino fiume Merse a causa della chiusura. Nel ’96 vengono interrotte le acque di falda e si allaga la miniera: il contatto dell’acqua con i rifiuti in ambiente acido e le rocce permeabili della parte profonda della miniera (calcare cavernoso ed evaporite), saranno le cause principali dell’inquinamento. Che non riguarda quindi solo le falde sotterranee, ma anche il fiume Merse, raggiunto dal liquido rosso che fuoriesce dalla miniera. Nel 2001, dopo diversi allarmi e denuncie relativi all’inquinamento del fiume, la Regione stanzia 200 milioni di lire al mese per costruire e far funzionare un depuratore d’emergenza, mentre l’anno dopo una tesi di laurea presentata presso la cattedra del Prof. Leonzio, del dipartimento di scienze ambientali dell’Università di Siena, (relativa agli studi del Merse in località ”Brenna”) denuncia la presenza abnorme di arsenico e mercurio nei pesci. Ancora oggi diversi cittadini si bagnano e pescano tranquillamente, ignari di tutto. Come se non bastasse, ”Eni risorse”, azienda che, sempre in Maremma, si curava della Miniera di Fenice Capanne, poi venduta alla società ”Polytecne”, riesce a portare (nella veste del dott. Ciancio Alessandro) alcune batterie sotto sequestro a Monza fin dentro la miniera. Dove verranno prima triturate e poi depositate, nonostante la miniera non sia il posto adatto per ”smaltirle” e l’intenzione ufficiale dell’azienda è lo smaltimento delle plastiche. Oggi i lavoratori denunciano la presenza di piombo nel sangue, ed è stato accertato l’inquinamento di un affluente del fiume Bruna che scorre vicino al sito minerario. Vista la gravità anche la Magistratura è intervenuta negli ultimi anni nella vicenda con tre indagini distinte della Procura di Grosseto (sia per l’impianto di Scarlino che per le due miniere). I cittadini comunque non sono stati a guardare e sono nati diversi comitati in difesa dell’ambiente, tra cui il più grande e battagliero è il ”Coordinamento Merse” che riunisce alcuni comitati di Grosseto e Siena e numerose associazioni (Wwf, Cgil, la Confederazione italiana Agricoltori, etc…).
Abbiamo chiesto l’opinione di Roberto Barocci (docente di ruolo e responsabile provinciale per l’ambiente del Prc), autore del libro ” Maremma avvelenata, cronaca di un disastro ambientale annunciato”, da anni in prima linea in questa battaglia:
D: L’impianto di Scarlino, con i problemi relativi alla diffusione dei rifiuti, la miniera di Campiano legata alla fuoriuscita di acqua inquinata, e la miniera di Fenice Capanne con le sue pile triturate.Cosa lega queste vicende?
R: Le aziende che hanno gestito questi tre siti facevano tutte capo al gruppo Eni. Non solo, andando a ricostruire quali erano gli amministratori delegati dei gruppi ci accorgiamo che sono le stesse persone. L’Eni di fatto ha cambiato spesso i dirigenti di queste tre vicende, che hanno girato e occupato posti di responsabilità nelle tre situazioni.D: Quindi si può parlare di intenzione cosciente e di responsabilità diretta dell”Eni?
R: Si, ho le carte che provano che c’era consapevolezza del progetto: si volevano smaltire illegalmente rifiuti tossici in luoghi dove in precedenza, per attività minero-metallurgiche, si erano già verificati fenomeni di inquinamento, ognuno dei quali aveva come elementi chimici inquinanti gli stessi metalli che sarebbero stati rilasciati dalle attività illecite di smaltimento.D: Su cosa si basano le prove dell’inquinamento del territorio e delle sue acque?
R: Soprattutto sui dati analitici del Prof. Enzo Tiezzi della facoltà di Chimica e del prof. Riccobono (consulente del ministero della difesa che ha studiato l”uranio radioattivo in Bosnia, ndr) della facoltà di Geologia chimica ambientale, entrambi dell’Università di Siena. Docenti di prestigio. Ci sono anche i dati dell’Arpat, che cambia le proprie posizioni iniziali dove minimizzava il fenomeno (l’elevata presenza di metalli pesanti nell’acqua, ndr) o lo riteneva naturale.D: Quali sono le maggiori responsabilità degli Enti locali in questa vicenda”! Ci può fare qualche esempio emblematico?
R: La più grossa responsabilità è dei dirigenti e dei funzionari della Regione Toscana, che hanno lasciato fare nonostante fossero consapevoli della pericolosità delle ceneri di pirite prodotte a Scarlino, grazie alle valutazioni di impatto ambientale prodotte alla fine degli anni ’80 (fatte per cercare di collocare questo materiale nelle discariche opportune) che avevano evidenziato la pericolosità di questo materiale. Studi comparativi che andavano a verificare le condizioni di impermeabilità dei siti, necessaria per poter ricevere questo materiale, che avevano segnalato di confinare questi materiali tossico-nocivi in luoghi in cui non c’era contatto assoluto con le falde e con le acque. Nonostante questo l’Eni fu autorizzata a collocare le ceneri nella miniera di Campiano. Tra l’altro uno di questi dirigenti è l’attuale commissario alla bonifica deciso dal presidente della Regione e dall’assessore all’Ambiente, che sapevano delle responsabilità dei dirigenti regionali… quindi è preoccupante anche che si minimizzino gli errori commessi in passato, perché la vicenda giudiziaria in corso dovrebbe permettere di far pagare all”Eni la bonifica.D: Oltre ai danni ambientali che problemi ha la popolazione locale?
R: Dei danni la popolazione li ha subiti di sicuro. Intanto molti pozzi della zona, come quelli della fascia costiera, sono stati chiusi per la presenza di mercurio. Noi riteniamo che ci sia un collegamento probabile con le attività di superficie. Ma anche arsenico, trovato nell’acqua potabile del Comune di Massa Marittima. Poi, con una deroga molto discutibile, la Regione ha di recente avuto l’autorizzazione ad elevare i valori di concentrazione dell’arsenico nell’acqua potabile. Il problema è talmente grave che a Punta Ala (sulla costa, ndr) è in funzione un dissalatore, perché manca l’acqua potabile d’estate. Questo a causa della mancanza d’acqua potabile nella zona delle colline metallifere. Va ricordato anche l’intervento della Regione Toscana che supplisce l’Eni, che non vuole occuparsi della bonifica. Insomma c”è un danno alle attività turistiche, agricole, commerciali ed industriali. E poi d”estate le nostre Asl segnalano un incremento di malattie gastrointestinali nei bambini che vivono in quei quartieri dove l’acqua manca. E questo è un danno alla salute.D: Nel ’99 si era aperta una commissione parlamentare d’inchiesta presieduta dall”On. Scalia, che esito ha avuto? E che ne pensi dell’attuale indagine dell’Arpat sulla ”diffusione dell’arsenico nella catena alimentare”?
R: La commissione ha concluso i lavori indicando la necessità di procedere alla bonifica. Però si è limitata a segnalare il problema. Mentre l’Arpat, dopo che l’Università di Siena ha confermato le nostre ipotesi, ha modificato atteggiamento e ha incaricato l’Università di Firenze di studiare questo fenomeno, riconoscendo l’inquinamento dovuto alle attività industriali. Ma non ha abbandonato completamente la vecchia idea della ”presenza naturale fuori norma”, la stessa che ha permesso di elevare la concentrazione d”arsenico nelle acque potabili oltre i limiti previsti dalla comunità europea.D: C’è la possibilità che la vicenda si concluda presto?
R: Siamo molto delusi dall’attività d’inchiesta della Magistratura. Le perizie di alcuni consulenti tecnici rese pubbliche da alcuni magistrati confermano le responsabilità da noi già evidenziate. Anzi aggiungono documenti che testimoniano un elevato grado di cinismo da parte di alcuni dirigenti regionali e dell’Arpat . Però non si riesce a capire perché non si concludono le inchieste, alcune sono addirittura del ’96. Nel nostro paese i reati di tipo ambientale sono ritenuti di poco conto dal parlamento, che infatti li ha depenalizzati. Perciò vanno subito in prescrizione. C’è delusione nei confronti dell’attività giudiziaria perché non ha la capacità di procedere in tempi ragionevoli.