I Gessi Rossi della Tioxide

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Un esposto sui Gessi Rossi Tioxide alle Autorità competenti per sapere se, ad insaputa dei più, sono cambiate le leggi, oppure se sono cambiati i processi produttivi, oppure cosa ha trasformato rifiuti speciali, non recuperabili con procedure semplificate, in fertilizzanti.

Sintesi della Conferenza Stampa tenuta nella sede della Federazione provinciale Coldiretti di Grosseto, giovedì 23 giugno 2011 alle ore 11,30

La Tioxide Europa Srl di Scarlino ha ottenuto dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, la registrazione del rifiuto speciale Gesso Rosso, quale correttivo di anomalie nei terreni, con il nome commerciale di “Agrigess”.
Poiché negli scorsi anni la stessa Tioxide ha sottoscritto (come documentiamo) che tale Gesso Rosso può essere causa di inquinamento delle acque e, potendo essere oggi distribuito in dosi consigliate dalla stessa Tioxide di 10-20 tonnellate ad ettaro, ci lascia increduli e allarmati che nessun organo di controllo abbia sollevato questa contraddizione.
Infatti non abbiamo avuto notizia che siano cambiate le tecniche di produzione e, soprattutto, che siano cambiati i contenuti di sostanze pericolose per la salute e l’ambiente, già in passato documentati dalla stessa Tioxide, quando nel 2004 ha sottoscritto l’ Accordo Volontario con la Regione Toscana, Provincia, Comuni, Arpat e Usl.
Tale Accordo è conforme al D.Lgs 100/92 in attuazione delle Direttive CEE espressamente riferite all’inquinamento provocato dai rifiuti dell’industria del biossido di titanio e non ci risulta che tale decreto sia decaduto.
Le sostanze sicuramente pericolose, riconosciute e ammesse dalla stessa Tioxide sono il Manganese, i Solfuri, i Cloruri e il Vanadio.
Non vogliamo, dunque, accusare nessuno ma desideriamo fortemente che gli Enti Pubblici preposti al controllo, a partire dall’Assessorato all’Ambiente della Regione Toscana, alla Provincia di Grosseto e all’Arpat, ci diano in tempi brevi risposte chiare ed esaustive.
Le recenti polemiche sollevate dalle dichiarazioni di alcune persone legate al mondo ambientalista, che hanno denunciano preoccupazione, e la risposta dell’Azienda chimica del Casone di Scarlino, che minaccia querele e cause civili a destra e manca, non c’interessano; ma una domanda si pone inevitabile: sono rifiuti e come tali sottoposti a specifica normativa ove vengono analizzati tutti i componenti in riferimento ai limiti normativi previsti, oppure sono un correttivo utile in agricoltura e pertanto sottoposto a tale normativa come un normale sacchetto di potassio o calcio di origine naturale?
Non è possibile pensare che nel 2004 Tioxide prescrive che l’utilizzo dei Gessi Rossi non deve essere eseguito in zone ove opera il dilavamento dell’acqua piovana o sono presenti falde acquifere ed oggi consiglia a tutti gli agricoltori (indistintamente di monte o di valle) l’utilizzo massiccio di tali gessi !! Esistono forse delle leggi che consentono di inquinare alcuni terreni e falde ed altri no ? Chiediamo verifiche.
Dopo la conferenza stampa in cui tali considerazioni e documentazioni saranno rese di pubblico dominio, la stessa documentazione (Confronto tra il contenuto dei Gessi Rossi.pdf) verrà trasmessa agli Enti Locali, al Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, al Ministero dell’Ambiente, alla Presidenza della Commissione Bicamerale sul ciclo dei rifiuti, alla Corte di Giustizia Europea e, per opportuna conoscenza e competenza, alla Magistratura Inquirente.

Roberto Barocci, Forum Ambientalista- provincia di Grosseto
Renzo Fedi, Coldiretti- sezione di Follonica

Cittadini becchi e bastonati

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Le bonifiche alle Strillaie e i cittadini “becchi e bastonati”
Comunicato Stampa

Cittadini becchi per aver sollevato il problema, bastonati perché ora dovranno anche pagare il danno. Questo in sintesi la sostanza della conferenza stampa con cui sabato la Giunta Bonifazi ha presentato la possibile soluzione al vasto inquinamento delle acque di falda, che oggi rende insicure molte attività agricole realizzate nella pianura di Grosseto.

Da questi amministratori l’inquinamento è stato presentato come un fatto inevitabile, come se fosse naturale, non ha perciò responsabili ed è quindi per loro normale che i cittadini grossetani debbano coprire, con la tassa sui rifiuti, altri 12 milioni di euro, diverse centinaia di euro a famiglia, spalmati nei prossimi anni.

I fatti sono in questo modo? Questa Giunta si è trovata costretta (dalle prescrizioni puntuali ed inequivocabili del Ministero dell’Ambiente) ad affrontare la bonifica, di cui sono responsabili le precedenti amministrazioni. La Giunta Bonifazi l’ha avviata a soluzione e qui finiscono i suoi meriti. Già dieci anni fa il Coordinamento dei comitati Ambientalisti ha denunciato, sulla base di documenti prodotti da Uffici pubblici e contro quanto sostenevano allora gli amministratori comunali e provinciali, che la discarica era stata gestita in modi disastrosi, che la falda era pericolosamente inquinata, che la localizzazione di altri impianti alle Strillaie era sbagliata, che la falda doveva essere prima bonificata, che la viabilità locale non consentiva il traffico dei mezzi pesanti, che il Combustibile da Rifiuti (cdr), che lì si vuole produrre, non chiude affatto il ciclo dei rifiuti, ma, quando poi lo si brucia, scarica nell’aria sostanze cancerogene che poi noi respireremo…

Ecco perché oggi ci sentiamo “becchi e bastonati”: perché nonostante che i fatti ci diano ragione, un disastro ambientale, evitabile, viene presentato dalla Giunta Bonifazi come un successo.

Domandiamo: con che faccia, senza indicare le responsabilità di tale disastro, si può sostenere che 12 milioni di euro in capo ai grossetani siano un successo?

In questo paese i responsabili politici non si trovano mai! Per decenni è stata omessa l’applicazione di leggi e disposizioni ministeriali in fatto di corretta gestione delle discariche di rifiuti. E’ stato consentito che si scaricassero rifiuti indifferenziati, di cui non si conosceva neppure la provenienza, si è ordinato che si scavasse senza compiere verifiche per ricavare maggiori volumi per la discarica, facendo sì che i rifiuti andassero a contatto dell’acqua di una falda, portata alla luce dallo scavo. In questa situazione per molti anni ancora si è autorizzato il deposito di altri rifiuti.

I responsabili sono ben individuabili e la giunta Bonifazi li ha trovatati: siamo noi cittadini, becchi e bastonati….come si diceva.

E’ una vergogna! Il Coordinamento valuterà le mosse più opportune per informare e difendere la popolazione, affinché i costi non ricadano sui cittadini, ma sui veri responsabili e si impegnerà affinché si vada verso metodi corretti di raccolta e smaltimento dei rifiuti.

Caso Total, il sindaco non difende la salute dei cittadini

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Negli scorsi giorni il sindaco di Grosseto in merito al caso del  distributore Total di via Masaccio ha dichiarato sulla stampa:

«Tutti gli enti coinvolti (Arpat, Usl 9, Provincia e Comune di Grosseto) hanno chiaramente spiegato che le richieste della famiglia Tarsi afferiscono ad una sfera tutta privata di accordi e transazioni tra la famiglia stessa e la Total nella quale io non ho intenzione di entrare con l’emanazione di provvedimenti che, come l’ordinanza sindacale, vengono emanati a tutela della salute pubblica e non a tutela di interessi privati».

dal Tirreno del 20.11.2010

Agli atti della Conferenza dei Servizi del Comune di Grosseto del 4 maggio scorso che ha formulato prescrizioni e espresso un parere al Sindaco sul caso Total sono riportate le frasi dettate dal dott. Spagnesi, Responsabile sanitario, il quale non può emettere Ordinanze, che sono solo e tutte di competenza del Sindaco.

Il dott. Spagnesi afferma a Verbale: “l’indice di pericolo tossicologico cumulato e del parametro singolo idrocarburi alifatici C5-C8 è superiore alla soglia tollerabile“. Questo significa che le quantità di sostanze cancerogene a cui sono sottoposti i soggetti che abitano nella zona sono superiori alle quantità che l’organismo può smaltire senza ripercussioni.

Il limite indica quando le sostanze si accumulano nell’organismo portando danni. Questo il Sindaco Bonifazi sembra non averlo capito. Solo successivamente il dott. Spagnesi precisa che non ci sono le condizioni per il danno “acuto”, ma evidentemente rimangono tutte le condizioni per il danno “cronico”, dovuto alla prolungata esposizione nel tempo e superiore alla capacità di difesa dell’organismo.

E’ per questo motivo che il dott. Spagnesi conclude, nello stesso Verbale, affermando che: “al fine di ridurre la probabilità che il rischio di effetti nocivi si concretizzi in manifestazioni cliniche avverse, ritiene necessario che la famiglia Tarsi sia compiutamente informata dei rischi presenti e raccomandato di non abitare nell’appartamento per il tempo necessario alla conclusione della bonifica del sito”. Ma per il Sindaco Bonifazi le manifestazioni cliniche avverse debbono prima manifestarsi, perché senta il dovere di intervenire! Che pena, che vergogna!

Gli abitanti di Grosseto devono augurarsi di non aver mai bisogno di parlare con il Sindaco, di non trovarsi mai investiti da veleni cancerogeni e di dover combattere contro una prepotente società petrolifera.

A Grosseto non c’è possibilità aver un giusto e legittimo provvedimento della massima autorità sanitaria della città, cioè del Sindaco. Se il problema è la difesa della propria salute e della salute dei propri familiari, minacciata dai vapori di benzene dispersi dalla Total, l’unica strada è il Tribunale, perché in questa città il Sindaco ha rinunciato pubblicamente, come oggi appare evidente a tutti, ad usare gli strumenti che la legge gli mette a disposizione per difendere la salute dei cittadini, a danno degli interessi di una prepotente multinazionale.

Questa è la conclusione di una storia che da venti anni vedono i Sindaci di questa città cercare pretesti per non applicare le leggi esistenti. Ma forse i motivi che convincono oggi Bonifazi a non intervenire sono gli stessi che hanno convinto l’allora sindaco Loriano Valentini a non dare seguito alle raccomandazioni di interventi urgenti fatti dalla USL nel 1993, che aveva registrato valori del cancerogeno centinaia di volte superiori ai limiti di legge.

Barocci Roberto
Forum Ambientalista-Grosseto

Quel giorno intorno ad un tavolo

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Poiché i nomi e i cognomi delle persone coinvolte non mi sembrano necessari, ho voluto evitare di scriverli. Naturalmente ogni frase ha una documentazione puntuale e la documentazione più scottante (ad esempio il Verbale citato, le frasi del PM…) , è stata pubblicata sul mio sito in questa pagina, a seguito delle minacce fatte da ARPAT alla conduttrice di REPORT Milena Gabbanelli.

Dopo la pubblicazione di tali documenti le minacce non hanno avuto seguito.

Questo articolo disponibile in versione .pdf

La Valutazione di Impatto Ambientale: uno strumento di trasparenza e di partecipazione svuotato dalle amministrazioni pubbliche toscane

Quel giorno intorno ad un tavolo dell’Ufficio Ambiente, settore rifiuti della Regione Toscana, si sono ritrovati i componenti del Comitato Tecnico Regionale, convocati per esprimere un parere all’Assessore all’Ambiente e alla Giunta Regionale. Tale Comitato era composto da tecnici apparentemente autorevoli, sia docenti universitari di geologia, di geochimica ambientale, sia responsabili di vari Uffici pubblici, preposti alla salvaguardia della salute umana e dell’ambiente. Alcuni di loro ricoprono oggi posti apicali in seno alla amministrazione della Regione Toscana in materia di rifiuti.

Il Comitato era stato riunito intorno a quel tavolo per esprimere un parere necessario (art.10 della L.R. 65/84), in merito ad una richiesta inquietante presentata dalla Soc. Nuova Solmine Spa, del gruppo ENI, la quale chiedeva alla Regione Toscana di poter utilizzare come materia prima seconda, cioè riusabile per vari scopi, le ceneri di pirite, rifiuto della produzione di acido solforico dello stabilimento del Casone di Scarlino. I membri di tale Comitato Tecnico erano sicuramente in imbarazzo, perché da anni l’ENI aveva lasciato, stoccate a piè di fabbrica, oltre un milione e mezzo di tonnellate di ceneri di pirite, che erano state già classificate come rifiuto tossico e nocivo. Dai forni a letto fluido in cui si fondevano le piriti ferrose, ma anche le arseno piriti, si aveva, in uscita, una cenere in cui si concentravano tutti i metalli e metalloidi presenti nei minerali in concentrazioni molto più modeste. Quelle ceneri hanno un contenuto pericoloso di Arsenico, che è un potente cancerogeno, oltre ad essere tossico e i terreni, su cui sono stati accumulati quei rifiuti, sono soggetti a subsidenza, essendo di recente bonifica per colmata e da pochi decenni strappati al padule di Scarlino.

Come poter riutilizzare e distribuire nell’ambiente un rifiuto tossico e nocivo per la salute umana? Come poterlo fare quando la legge lo vieta espressamente?

Agli atti del procedimento penale n° 01/3325, aperto nel 2001 e conservato presso la Procura della Repubblica di Grosseto, è inclusa una copia manoscritta degli appunti, relativi a questa riunione ufficiale del Comitato Tecnico Regionale, in cui una verbalizzante, riporta i pareri dei vari componenti e delinea una discussione difficile, a momenti anche conflittuale.

La Regione Toscana, negli anni precedenti, aveva già affrontato tale problema con ben due procedimenti di Valutazione di Impatto Ambientale ben fatti. Il primo era stato realizzato per la caratterizzazione delle ceneri e per l’analisi dell’inquinamento in atto; il secondo affrontava la scelta di una discarica in zona, capace di ricevere in sicurezza tali rifiuti. Infatti, quella massa dei rifiuti, alta 15 metri sul piano di campagna (detta dai locali “il panettone”) era sprofondata per oltre 5 metri e giaceva a contatto con la prima falda idrica, avvelenando anche questa, oltre che dilavare e avvelenare il terreni circostanti.

Quello di Scarlino, con la precedente storia di rifiuti scaricati in mare che aveva prodotto anche un piccolo conflitto militare con i pescatori Corsi, che sparavano sulle navi italiane, era uno dei più gravi e conosciuti problemi di inquinamento ambientale presenti in Toscana e quel Comitato Tecnico, informato dei precedenti studi sull’inquinamento delle falde idriche, si era già riunito più volte, senza arrivare ad una decisione condivisa. Inoltre alcuni dei componenti del Comitato erano tra gli estensori degli stessi Studi di Impatto Ambientale su tali ceneri. Questa volta però presiedeva il Comitato Tecnico l’Assessore all’Ambiente, che infine imporrà una decisione condivisa da tutti.

Allegata alla richiesta della soc. Eni, c’è uno studio di due professori universitari di Pisa. Uno di questi è presente ai lavori del Comitato assieme ad un professionista, entrambi incaricati da ENI a sostenere, nonostante le conclusioni delle precedenti Valutazioni di Impatto Ambientali (VIA), la possibilità che le ceneri di pirite possano essere utilizzate per la produzione di cementi, per le ripiene dei vuoti in miniera e per la realizzazione dei rilevati stradali, in particolare, si proponeva di collocarle sotto il manto di asfalto della superstrada Aurelia, in costruzione in quegli anni ’90 tra Livorno e Grosseto. Si, avete letto bene…

Alle ripetute richieste di alcuni membri del Comitato su come poter autorizzare legalmente l’uso di tale rifiuto, considerato un rifiuto tossico e nocivo dalla legge nazionale, risponde, sempre secondo gli appunti scritti dalla verbalizzante, l’Assessore all’Ambiente della Regione Toscana. Egli avrebbe sostenuto che, quando la Giunta regionale classificherà tale rifiuto come materia prima/seconda, automaticamente verrà annullata la qualifica di rifiuto tossico nocivo voluta dalla legge nazionale (!). Ma questa prepotente e arrogante affermazione dell’Assessore, confermata anche dal contenuto delle successive risposte registrate, non riesce a convincere tutti i presenti. C’è chi chiede come si comporteranno tali ceneri a contatto dell’acqua, che per infiltrazione attraverserà il rilevato stradale; c’è chi chiede cosa potrà succedere quando, nella possibile ipotesi di realizzare una variante del tracciato, quel materiale ritornerà ad essere riposizionato in superficie. Ancora, c’è chi chiede cosa potrà succedere in futuro visto che l’Aurelia attraversa aree a forte rischio idraulico con possibili alluvioni. L’assessore all’Ambiente risponde che si fa garante dei futuri controlli su tale discarica. Ma concepire una discarica “lineare”, lunga molte decine di chilometri, che fa aumentare tutti i rischi di inquinamento, è difficile da accettare e, nonostante la prepotenza, l’Assessore non riesce a convincere tutti i presenti, alcuni dei quali chiedono di porre delle prescrizioni puntuali: le due precedenti Valutazioni di Impatto Ambientale, in questo modo, non verrebbero sconfessate e sarebbero fatte salve dalle future prescrizioni, che la Giunta regionale si impegna a decretare e a far rispettare.

E’ a questo punto che in quel tavolo prende la parola il responsabile provinciale dell’Ufficio pubblico, invitato espressamente per l’occasione ai lavori di quel Comitato, con il mandato di sovrintendere alla salute dei cittadini e dell’ambiente. In Regione Toscana vogliono apparire democratici e tale dirigente conosce meglio di altri il territorio. Egli suggerisce, a questo punto, di collocare tali ceneri non nella discarica autorizzata, già individuata in sede di VIA, ma suggerisce al Comitato di collocare le ceneri “solamente” nella parte di superstrada che attraversa quella parte del territorio provinciale in cui si è già registrato l’inquinamento da arsenico. L’ENI potrà così risparmiare i costi del collocamento nella discarica già individuata, che sarebbero molto elevati, visto che va realizzato un adeguato isolamento della discarica stessa.

“Piuttosto che niente è meglio piuttosto”, si dice in Maremma e l’Eni e l’Assessore vanno accontentati…

Tutti gli interventi in quella riunione del Comitato si sono incentrati, stante quegli appunti, intorno al tema che tali rifiuti erano comunque tossici e nocivi e che, quindi, le prescrizioni dovessero rammentare tale caratterizzazione. Ma tale qualifica, che è menzionata anche nel verbale definitivo, scompare dalla successiva delibera della Giunta regionale che autorizza l’uso di tali rifiuti. Sta di fatto che una parte di tali rifiuti, anziché finire in discariche a norma di legge, isolate e impermeabili alle acque, ma costose per l’ENI, finirono, con autorizzazione regionale, in varie parti del territorio e anche nella miniera di Campiano, avvelenando il Merse, che scorre sulla parte meridionale della provincia di Siena.

Scrive nel 2003 il magistrato della Procura di Grosseto che ordinò il sequestro di quei verbali nel palazzo della Regione a Firenze: “L’inadeguatezza dell’operato delle predette pubbliche amministrazioni fa legittimamente sorgere sospetto di collusioni e quindi di abusi commessi per favorire la realizzazione dello scellerato progetto.”

Ma, nonostante lo “scellerato progetto”, tutto rimane come se nulla fosse stato accertato, l’inquinamento nel frattempo si estende anche nelle falde idriche più profonde; nei sedimenti marini l’Arpat trova elevate concentrazioni di Arsenico, i molluschi prelevati sulla costa sono immangiabili, diversi pozzi artesiani vengono sigillati con Ordinanze sindacali, perché inquinati.

Al danno si aggiunge la beffa: i forni a letto fluido, che fondevano prima le piriti, non più utili all’ENI per estrarre lo zolfo, vengono nel 2007 ceduti ad una delle Cooperative emiliane, la UNIECO e oggi inceneriscono i rifiuti, grazie ad una Valutazione di Impatto Ambientale positiva all’esercizio dell’ impianto come inceneritore di rifiuti, rilasciata nel 2009.

Le ceneri di pirite sono ancora oggi in gran parte collocate a piè di fabbrica (nonostante le omissioni della Regione Toscana, l ‘ENI non ce l’ha fatta ad eliminare il milione e mezzo di tonnellate di ceneri accumulate in un ventennio di attività), il tutto sempre nel sostanziale non rispetto dalla legislazione sulle bonifiche, del divieto di costituire stoccaggi provvisori di rifiuti, ecc. ecc.

Le modalità con cui la Regione Toscana prima (nel decidere dove collocare le ceneri di pirite) e la Provincia di Grosseto oggi (nell’autorizzazione ad incenerire rifiuti nei vecchi forni di fusione delle piriti) hanno usato la VIA meritano un serio approfondimento per consentire una chiara riflessione politica. Infatti queste amministrazioni pubbliche, violentando uno strumento prezioso, di trasparenza, di partecipazione democratica e garantista, qual è la VIA, svelano una loro collocazione etico/politica sconosciuta ad una larga parte della cittadinanza.

La legislazione vigente in materia di VIA (L.R. n.79/98), chiede esplicitamente che con lo Studio di impatto Ambientale il soggetto obbligato debba produrre: “La descrizione delle condizioni iniziali dell’ambiente…La descrizione delle componenti dell’ambiente soggette a impatto ambientale…con particolare riferimento…al suolo e sottosuolo…e all’integrazione tra i vari fattori;… La descrizione dei probabili effetti rilevanti…dovuti all’azione cumulativa dei vari fattori…”

Questo perché, come la legge nazionale e quella comunitaria di riferimento chiariscono bene, l’oggetto della valutazione non è un impianto a sé stante. Tale Studio, infatti, è rivolto alla verifica della capacità dell’ambiente a sostenere, nei limiti stabiliti dalla legge, ulteriori emissioni o carichi ambientali previsti con l’introduzione in quell’ambiente di un nuovo impianto.

La piana di Scarlino, e il sito in cui è collocato l’impianto di incenerimento oggetto della recente VIA, come detto sopra, sono pesantemente inquinati per la presenza di Arsenico e di altri metalli tossici, ben oltre gli standard previsti dalla legislazione comunitaria ed italiana. Ciò è certificato dall’inserimento del sito nei Piani regionali e provinciali di Bonifica, sulla base di studi qualificati.

Questi studi ufficiali testimoniano una gravissima condizione del sito, in particolare segnalando:

1. la presenza di depositi residui delle lavorazioni industriali distribuiti su tutto il territorio sia all’interno che all’esterno dell’area occupata dagli impianti, ben oltre la perimetrazione dei siti inquinati individuati dal Piano regionale e provinciale delle bonifiche. Tali rifiuti permangono tuttora sul terreno e contribuiscono costantemente al peggioramento della situazione in atto. Le bonifiche, avviate solamente su alcuni siti, sono parziali come testimonia la stessa ARPAT e a tutt’oggi non completate, ma sopratutto assolutamente non definitive secondo quanto previsto dalle legislazioni vigenti, la 152/06 e la 471/99;

2. la presenza di inquinamento nelle prime due falde superficiali per l’alterazione, dissoluzione e messa in circolo di Arsenico, proveniente dai depositi di rifiuti sopra citati. La prima falda, con concentrazione in Arsenico molte centinaia di volte superiore ai limiti di legge, nella stagione umida viene a contatto con la superficie dei terreni agricoli e li rende estremamente pericolosi. Tali falde non sono state mai esattamente delimitate, correttamente circoscritte e bonificate in nessuno dei vari progetti “definitivi” di bonifica fino ad ora approvati, che sono stati limitati alla bonifica delle superficie interne alle varie proprietà;

3. la presenza di un reticolo idrografico di superficie che nella stagione piovosa distribuisce l’Arsenico, e gli altri metalli pesanti, su tutta l’area della Piana di Scarlino sino al mare, ove già sono documentati da Arpat inquinamenti da Arsenico sulle sabbie. Come detto sopra, alcuni pozzi artesiani già sono stati chiusi, in punti assai più lontani dai siti individuati come inquinati dal Piano Regionale, per la presenza elevatissima di Arsenico.

Alle varie Osservazioni, presentate nella fase di confronto democratico e partecipazione del pubblico al procedimento di VIA, elaborate sul punto in questione dal Comune di Follonica, dal Comune di Scarlino e da Associazioni e Comitati ambientalisti, circa la mancanza, nello Studio di Impatto Ambientale , sia della definizione dello stato iniziale del sito che dell’azione cumulativa dei vari fattori, la società proponente l’impianto risponde:

  • al Comune di Scarlino ,che l’analisi delle condizioni iniziali: “non è materia da SIA del termovalorizzatore…” e che “la legge non lo avrebbe richiesto” (!!), confondendo strumentalmente la caratterizzazione del sito oggetto dello Studio di Impatto Aambientale (SIA) con “l’onere di procedere alla valutazione che coinvolgano altre attività industriali”
  • alle Associazioni ambientaliste, che tali Osservazioni non meritano una risposta “…in quanto non attinenti al progetto in oggetto di esame, ma relative a problematiche di altro genere che seguono un percorso a sé stante nelle sedi dovute (procedura di bonifica in corso)”!! .

Ciò nonostante, la Provincia, concede la VIA positiva, omettendo di esigere tale valutazione prescritta dalla legge, rimandando e delegando, con le proprie prescrizioni, la valutazione dell’inquinamento in atto ad altro soggetto e a tempi futuri, cioè al Comune di Scarlino, a cui competono le procedure di bonifica in corso. Ma, come visto sopra, la Provincia e il Comune hanno approvato progetti di bonifica con modalità molto parziali, incomplete, e comunque non esaustive, come sostiene anche l’ARPAT, in quanto tali progetti risultano privi della caratterizzazione e della bonifica delle falde e dell’identificazione di tutte le fonti inquinanti.

Il colmo degli abusi, compiuti in sede di valutazione positiva di quest’ultimo Studio di Impatto Ambientale, sta nell’aver accettato la tesi della società proponente l’inceneritore di rifiuti, secondo cui gli scarichi liquidi dell’impianto di trattamento fanghi, provenienti dal lavaggio delle ceneri e dei fumi prodotti nella combustione dei rifiuti, pur contenenti Arsenico e metalli tossici in discrete quantità, non presenterebbero alcun impatto solo perché per lo scarico si utilizza una conduttura impermeabile (!), senza curarsi dove lo scarico viene riversato, cioè nel canale che riporta in mare le acque di raffreddamento dell’impianto.

“Piove sul bagnato !”.

La popolazione locale, nonostante la complessità della vicenda, esprime un vasto dissenso e una forte mobilitazione contro i decisori politici e il nuovo presidente della Provincia di Grosseto, quello attuale, è costretto a riaprire la fase di contraddittorio pubblico sulla VIA e nomina una Commissione di Inchiesta pubblica, incaricata del riesame della valutazione precedente. Ma, nonostante il parere conclusivo della Commissione di Inchiesta Pubblica, (parere peraltro espresso all’unanimità dai 5 membri incaricati), con cui si raccomanda la revoca in autotutela della Determinazione Dirigenziale che esprimeva parere favorevole, la nuova amministrazione conferma la valutazione positiva.

Oggi il Comune di Follonica, amministrato dalle stesse forze politiche che governano la Provincia di Grosseto e la Regione Toscana è costretto a ricorrere al TAR, a sostegno dei ricorsi giudiziari promossi dal Comitato di cittadini e da tutte le Associazioni Ambientaliste (Legambiente esclusa), scontrandosi con l’attuale assessore regionale all’Ambiente, che difende in maniera arrogante le scelte fatte.

La domanda è: il berlusconismo è nato ad Arcore, oppure in Toscana era già di casa?

Roberto Barocci,
Coordinamento dei Comitati e Associazioni ambientaliste della provincia di Grosseto Forum Ambientalista

Cancerogeno fu il giardino

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Questa è la storia di una famiglia che 10 anni fa comprò felice una bella casa in un tranquillo e centrale quartiere di Grosseto, tra lo stadio Olimpico e la zona verde di via Cimabue, dedicata allo sport ed al tempo libero.

Una famiglia che da anni combatte contro la Total, una delle multinazionali del petrolio che ha trasformato l’ampio giardino di quella casa in una minaccia insopportabile: il benzene, in concentrazioni pericolose per la salute, è stato rilevato nei terreni, nelle acque del pozzo e anche nell’aria dentro l’appartamento.

Tutto questo è accaduto perché le perdite di benzina “verde” dai serbatoi interrati del vicino distributore hanno contaminato i terreni e la falda idrica che vi transitava poco sotto.

Se ne era accorta ed aveva documentato il tutto, nel lontano 1990 la famiglia che vi abitava prima di morire ed in tutti questi anni (20) le istituzioni, che dovrebbero tutelare la salute dei cittadini hanno preferito girare lo sguardo.

Tutte le istituzioni dalla locale USL, all’Arpat, al Sindaco, sono state da 20 anni perfettamente informate e documentate dei valori di idrocarburi centinaia di volte superiori ai limiti di legge, ma hanno fino ad oggi consentito che il soggetto responsabile dell’inquinamento, la Total, non eliminasse tutte le fonti inquinanti.

Un giorno un funzionario del Comune mi chiese: “Ma tu che sei comunista, perché ti interessi tanto a questa famiglia borghese?” Rimasi incredulo e sbalordito e seppi solo rispondere con una banalità: che in quella famiglia viveva una bambina…

I dettagli sono stati esposti nella Conferenza Stampa di

Martedì 2 novembre p.v. alle ore 11,30 in Via Masaccio,15

a Grosseto di cui pubblico il comunicato di convocazione:

L’inquinamento della Total di Viale Michelangelo: nuovi sviluppi di una storia già indecente.

Di seguito si dimostrano le omissioni, l’incapacità e l’ignavia delle Amministrazioni comunali, che dal 1990 ad oggi hanno consentito al responsabile dell’inquinamento, la Total Italia Spa, di eludere la legislazione vigente, attraverso una lunga serie di manovre dilatorie, che mettono a rischio la salute dei residenti.

1-Le omissioni:

come si dimostra dagli allegati 1, 2, 3, gli abitanti di Via Masaccio 15 avevano segnalato e dimostrato nel 1990 alla USL responsabile, mediante la produzione di analisi chimiche effettuate dalla dott.ssa Cutini e accertamenti tecnici, che il grave inquinamento in atto non dipendeva da perdite di idrocarburi per riscaldamento domestico. Nel 1993 l’allora sindaco Valentini, ricevette una nota dalla responsabile del Servizio di Sanità pubblica e Tutela Ambientale della competente USL, con la quale si confermava il grave inquinamento in atto e si sollecitava il Sindaco Valentini ad intervenire per eliminare la fonte inquinante.

I 20 anni trascorsi stanno a documentare le gravi omissioni della legge, la quale stabilisce un tempo di pochi mesi per l’eliminazione delle fonti inquinanti, potendosi facilmente identificare tali fonti mediante l’analisi degli additivi normalmente contenuti nelle benzine per autotrazione.

Dopo 12 anni, nel 2002, l’amministrazione Antichi, con Ordinanza n° 47, ordina la bonifica alla proprietaria dell’abitazione di via Masaccio 15, sig.ra Baviello, pur non avendo compiuto analisi sulle componenti delle benzine per autotrazione, sbagliando evidentemente il destinatario.

Nel 2003 la Procura della Repubblica di Grosseto, vedi allegato 4, accerta:

1- la sicura responsabilità della Total nell’inquinamento dei terreni e delle acque di falda con valori delle concentrazioni disciolte di sostanze cancerogene nelle acque superiori i limiti di legge anche 125 volte;

2- l’inquinamento è esteso anche ai terreni adiacenti alla stazione di servizio della Total

3- esistono rischi alla salute della popolazione.

2-Le incapacità:

l’Amministrazione Antichi ha inizialmente limitato la bonifica alla rimozione dei terreni sottostanti la sola proprietà del distributore Total, in violazione di legge che prevede invece l’eliminazione di tutte le fonti inquinanti, approvando nel settembre 2002 un Progetto Preliminare di bonifica assolutamente parziale e contraddittorio. Tant’è che mentre lo approva, al tempo stesso, “prescrive” alla Total di “perimetrare compiutamente l’area interessata dall’inquinamento, non ancora determinata” (all.5).

Poi nel 2004 l’amministrazione Antichi estende la rimozione dei terreni impregnati da idrocarburi anche a quelli sottostanti a Via Masaccio, lasciando tuttavia ancora al loro posto altri terreni impregnati da idrocarburi e collocati a valle idrogeologica degli impianti.

Nel maggio 2010, dopo ben 8 anni dalla precedente prescrizione del 2002, la Conferenza dei Servizi del Comune di Grosseto, senza vergogna, prescrive ancora alla Total: “Ai fini della delimitazione dell’area contaminata (terreni ed acque), le planimetrie dovranno essere ripresentate estendendo le aree potenzialmente contaminate fino al punto di conformità…”(all.6).

3-L’ignavia:

dopo 20 anni dai primi sicuri accertamenti di pericolo per la salute pubblica, il principale responsabile oggi della Salute dei cittadini, il sindaco Bonifazi, accoglie le ambigue considerazioni del dott. Spagnesi, dirigente USL, il quale fa mettere a Verbale (all.6) che“…considerati i tempi di realizzazione del progetto stesso, nonché quelli di esposizione pregressa, al fine di ridurre le probabilità che il rischio degli effetti nocivi si concretizzi in manifestazioni cliniche avverse, ritiene necessario che la famiglia Tarsi sia compiutamente e formalmente informata dei rischi presenti e raccomandato di non abitare nell’appartamento on site per il tempo necessario alla conclusione della bonifica del sito.” .

A fronte dell’opposizione esplicita della Total, che dichiara ancora di non ritenersi responsabile dell’inquinamento e che, con un ricorso amministrativo, strumentalizza l’ambiguo termine di “raccomandazione” per non farsi carico del temporaneo trasferimento dei residenti a rischio, il sindaco Bonifazi ancora oggi evita di esprimersi chiaramente sul tema, non emettendo quelle ordinanze che la legge e l’etica pretendono, obbligando cioè la Total a farsi carico di tutti gli oneri di bonifica e dei costi per la residenza transitoria dei soggetti a rischio.

Roberto Barocci,

Forum Ambientalista Grosseto